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Mario Ciro Ciavarella

San Marco in Lamis, martedì 23 maggio 2017 - Auto 1. La prima auto, quella che cerca di fare da spartiacque tra la vita che c’è stata e quella che verrà, venne ritrovata a cento metri di distanza dal luogo del disastro. Gente inerme e muta era rimasta dentro. Un silenzio che faceva invidia a quello della Creazione, pochi secondi prima che avvenisse. Tre vite rimangono chiuse dentro le lamiere, che stringono le anime per cercare di non farle uscire da quei corpi compressi. Uniti dal dolore e dall’impossibilità di salvare chi dovevano difendere.

 Auto-placenta: chiusura ermetica che non permette una resurrezione di quei tre corpi.  I sussurri in quest’auto sono tanti, le grida no. Non si sentono grida da quest’abitacolo, solo flebili pensieri e sottili parole che cercano di sospingere fuori sussurri, che sembrano deboli venti che soffiano e vivono per un solo attimo.

Quei tre corpi sembrano Gargoiles di carne. Non sono di pietra, come quelli di Parigi che osservano la città dall’alto della cattedrale per vedere i sentieri tracciati dagli uomini. Ma sono tre corpi immobili come feti che hanno già vissuto la loro vita. È come se fossero tornate indietro, queste vite. Tre vite che non hanno più nulla da fare, ma solo testimoniare quello che è stato. È stato un evento che qualcuno poteva prevedere: gli indovini ci sono, e sono quelli che organizzano il male e poi lo mettono in atto.     

Auto 2. Si ferma ai margini del cratere. Ai margini di un inferno terreno,   nato per volontà di demoni che cercano la perfezione del male su questa terra. Falcone cerca di sussurrare qualcosa a sua moglie e al suo autista. Le grida non riescono a nascere: hanno poca spinta dal Divino, lui adesso non c’è. Francesca la moglie di Falcone respira, il suo cuore sussurra, ma non vede e non sente le grida che verranno, quelle delle vite che cercheranno di dare un futuro alla giustizia italiana. Ci sono momenti in cui le grida sono meno forti dei sussurri. Adesso sono più forti i respiri accennati, spinti, tirati fuori dall’anima, che cercano di dire che lì dentro la vita vuole ancora esistere. Gli occhi dell’autista Costanza vogliono uscire fuori dalle orbite per toccare il petto di Falcone e spingere sul cuore per dare aria e speranza al suo protetto.

Falcone ha gli occhi aperti. Vede, indica a quelli che sono appena giunti che tutto è compiuto: come un Cristo sulla croce che aspetta solo la lancia del soldato romano.

Auto 3. Le grida. Qui ci sono solo grida, i sussurri non riescono a farsi spazio. Le grida danno forza ai tre militari di correre, guardare, capire, spingere polvere e fumo. Uscirono da quel sepolcro laico facendosi forza e spingendo tutto quello che copriva i loro corpi. Come quando delle coperte pesanti e ingombranti, non ci permettono di respirare durante le notti invernali. Si cerca Falcone, soprattutto. Viene trovato: è sul margine del cratere. L’auto è in bilico tra la terra e il vuoto. Anche l’auto grida: sa che non potrà servire l’uomo. Sa che la sua esistenza è ormai finita. Sa che l’Uomo l’ha creata e l’Uomo la sta distruggendo. Potenza assurda dell’umanità: crea e distrugge.

I tre angeli terreni cercano di aprire la portiera dell’auto di Falcone:  devono fare presto, l’automobile inizia a prendere fuoco. Prima le fiamme sussurravano, poi iniziarono a prendere vigore e a gridare. Le grida del fuoco sono grida sottili, quasi trasparenti, non danno fastidio all’udito. Ma sanno che fanno male. In silenzio.

Tre auto. Tre storie da raccontare. Tre finali diversi. Sussurri e grida che vogliono dire solo questo: non ci sono uomini diversi, ma le anime fanno  la differenza. 

 

Sound Track: “Terremoto” dei Litfiba

 

Mario Ciro Ciavarella