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Antonio Del Vecchio

Rignano Garganico, lunedì 30 ottobre 2023 -  I cieli di Rignano Garganico, il più piccolo Comune del Parco Nazionale del Gargano, da sempre sono interessati da rotte aeree da e per l’Aeroporto di Amendola, considerato il più grande ed attrezzato d’Italia ed approdo preferito della Nato. Pertanto, gli eventuali pericoli in teoria sono all’ordine del giorno, ma in pratica mai capitati finora, tranne in un solo caso, che si concretizza con una vera e propria tragedia: la caduta a precipizio di un velivolo e lo sfacelo dei due piloti a bordo di cui si dirà.

Dell’argomento si tratterà in futuro nella nuova edizione del volume “Io parto non so se ritorno – Storie di Caduti e Reduci della II Guerra Mondiale”, dedicato ai soldati deceduti nell’ultima guerra e appartenenti al popolo di Rignano, del Gargano e di altri luoghi d’Italia.v  Si tratta probabilmente di un G91 Fiat (ma stiamo verificando meglio), un mono motore biposto che sarebbe entrato in servizio 5 giorni dopo l’incidente (forse lo stavano testando). Tanto in sostituzione del modello americano Lockheed T33A, attivo sin dal 1953. Il nuovo caccia e velivolo di addestramento era considerato al momento uno dei più moderni velivoli al mondo di questo genere, per di più tecnicamente sicuro e maneggevole. Non a caso il suo duplice uso, con inserimento fisso nel gruppo acrobatico delle “Frecce tricolori”. Il suo compito si conclude solo nel 1995, superato e sostituito da altri mezzi più aggiornati.

L’incidente accade il 10 novembre 1964, alle ore 8,30, ma la causa resta ancora un irrisolvibile mistero. Forse una manovra improvvisa, compiuta all’ultimo secondo, per evitare di toccare il fianco della montagna emerso all’improvviso per via della nebbia o un guasto al motore. Nel risalire terra terra dal vallone Forestelle l’aereo sarebbe stato addirittura notato, come riferiscono talune testimonianze, dai passeggeri del Pullman Sita diretto a Foggia. Chissà. Comunque sia, il velivolo, nel tentativo di riprendere quota, dopo aver urtato violentemente con un’ala un grosso masso roccioso situato sulla sommità, radicalmente sradicato, finisce la sua corsa nelle vicinanze dell’abbattuto Camposanto Vecchio, schizzando in alto  con una forte deflagrazione, dovuto allo spostamento d’aria. Lo stesso viene avvertito a largo raggio, in particolare dai mattinieri del paese, impegnati chi per recarsi al lavoro, chi a scuola ed altri a fare la spesa al mercato. 

Del boato si accorge subito Matteo Di Claudio, allora bidello, impegnato in quel momento alle operazioni di ingresso degli alunni nella vicina scuola media. Nel contempo l’aereo si incendia e cade a precipizio sulle case in costruzione nel quartiere di San Rocco, oggi diventato uno dei più popolosi e frequentati della cittadina.

Stando alle notizie d’archivio, alla guida del mezzo, in veste di comandante pilota c’è il capitano Piero Landonfi, nato a Savona l’11 giugno 1931, da poco coniugato con Sara Sircana. La nuova famiglia ha scelto il Villaggio Azzurro, luogo di vita e di residenza, contiguo e collegato all’Aeroporto Militare, ubicato in territorio comunale di a San Marco in Lamis. L’abitacolo ha come aiutante l’aviere allievo sottufficiale, Gino Gentilucci, nato a Matelica (Macerata) il 30 settembre 1943 ed ivi residente.

Piloti e mezzo sono impegnati probabilmente in una delle tante esercitazioni quotidiane di routine programmate dalla struttura militare per ragioni didattiche o di prova. Dopo l’impatto infuocato in un baleno piombano giù dal cielo sulle case sottostanti, disperdendo a vasto raggio pezzi di carne umana ancora ardente, unitamente ai loro vestimenti, accompagnati da una miriade di pezzi di lamiera, spesso distanziati gli uni dagli altri di alcune centinaia di metri. Non si contano i testimoni. In pochi attimi si raccoglie in piazza San Rocco una folla di cittadini e sotto la guida del sindaco Gabriele Draisci e il volontariato dell’Azione Cattolica di Elisa Cella e di Antonio Martelli e nel giro di in poco tempo i resti sono quasi tutti rintracciati e a mala pena distinti per via della divisa, sono man mano acconciati alla meglio in due bare messe a disposizione dai falegnami donatori. Qui sistemati in attesa del da farsi all’interno della vicina Chiesa di San Rocco. Intanto si provvede ad avvisare seduta stante il comando dell’Amendola, e tramite di esso le rispettive famiglie dei due piloti scomparsi. 

A tarda sera giunge in paese una autorevole delegazione e assieme alle autorità locali assistono alla conclusione del pietoso lavoro di sistemazione con l’aggiunta di altri provvidi ritrovamenti.

Tra l’altro, è ritrovata una mano anellata nei pressi della masseria “Minchillo” (ora sede dell’ufficio postale) e consegnata quasi come un trofeo da un ragazzo.

L’anello matrimoniale è immediatamente consegnato alla moglie dell’ufficiale pilota morto, che l’accoglie con le lacrime della disperazione il triste ricordo dell’uomo amato. Non c’è tempo per i funerali. Sul tardi, dopo la benedizione di rito impartita dal parroco le due salme sono portate a destinazione per essere tumulate nelle rispettive residenze. E qui, negli anni successivi piante e venerate dalle loro famiglie di origine, ormai tutte scomparse.

La caduta dell’aereo e la morte tragica e macabra dei due piloti per decenni resterà il chiodo fisso nella memoria dei testimoni, quelli allora adulti, ormai del tutto scomparsi. Lo è ancora invece nei ragazzi del tempo che vivranno la tragedia come il momento più triste della loro vita, di cui ancora oggi avvertono il dolore forte e lo scompiglio che provarono al momento del riscontro visione dei pezzi sparsi. Sulla caduta dell’aereo aveva testimoniato in un recente passato anche Vito Del Vecchio, originario di Rignano Garganico, Sottufficiale dell’Aeronautica e distintosi nel suo servizio di 1° Luogotenente, tanto da ricevere post-mortem la dedicazione a suo nome  di una delle sale museali di cui si fregia l’Aeroporto Militare di Amendola; l’altro è Aldo Giagnorio, pilota e  già presidente dell’Aereoclub del Capoluogo Dauno.

Il resto della storia sul volume accennato in premessa.