Nicola Maria Spagnoli 

Roma, mercoledì 23 dicembre 2015 -  Mai nella storia del rock ci fu una collaborazione così proficua, continua e felice fra un gruppo e l’artista delle loro copertine! ROGER DEAN Fin dal terzo album degli YES, dopo due anonime cover di altro autore, inizia a lavorare per questo super gruppo e proprio con l’album della loro consacrazione, FRAGILE, dopo il grande successo ottenuto dal comunque ottimo The Yes Album. 

 Non si può certo dire che parte del successo sia dovuto al geniale pittore dato che Fragile è, anche musicalmente, un capolavoro riconosciuto, un lavoro che con il precedente album e quello successivo, Close to the Edge, forma la triade perfetta del Progressive e che, per i tempi, ebbe la miglior grafica possibile.Doppia copertina apribile, elegante, con raffigurato un magico, quanto improbabile, piccolo pianeta che volteggia nello spazio ed un’astronave fantastica e surrealista che gli gira intorno (foto 1), mentre sul retro troviamo l’esplosione dello stesso ed in primo piano una visione ravvicinata della navetta, simile ad una macchina leonardesca. 

Dean fu presto considerato il sesto Yes ed era impensabile non abbinarlo al gruppo anche se aveva iniziato nel ’64  ma fu nel ’71, con questa cover e con il logo della Virgin, che anche lui diventò famoso. Certo non fu fedele solo agli Yes, altre belle copertine le realizzò per gli Osibisa, i Greenslade, gli Asia, i Drama e per i dischi solisti degli stessi Yes. Realizzò anche le scenografie dei concerti del gruppo, il loro logo in innumerevoli versioni oltre a quello di altri gruppi e non disdegnò nemmeno di dedicarsi all’architettura e al design, privilegiando sempre uno stile a metà strada fra il neo-Liberty fantastico e, perché no, quello del grande Le Corbusier, ma con questo imparentato solo per le linee sinuose e dolci delle sue creazioni.

Tornando a Fragile, l’album contiene anche un prezioso libretto interno con alcuni deliziosi disegni, per lo più fantastici (foto 2) mixati con foto, in uno stile perfezionò successivamente soprattutto nell’album Relayed. I fondali marini cristallini furono fra le sue ambientazioni preferite così come i funghi volanti di psichedelica memoria, mentre attualmente, ai giorni nostri, oltre a curare le copertine per ogni nuova incursione, antologica o concertistica degli Yes, produce e vende soprattutto serigrafie e manifesti dei suoi capolavori. Un disco importante quindi per l’evoluzione del Rock ed anche della grafica rock per merito di questo autore.

Il disco contiene brani che saranno, da allora in poi, fra i cavalli di battaglia del gruppo, suite, possiamo definirle, decisamente barocche disseminate da fughe medievali ma anche da risvolti jazzistici, da virtuosismi e arditi intrecci vocali uniti a quelli, altrettanto nuovi per i tempi, di chitarra, basso e tastiera che fanno, ad esempio, di Roundabout un pezzo da riascoltare anche oggi con attenzione. Ritmo e velocità trascinanti, potente il basso di Chris Squire, Ricky Wakeman è rock come non lo sarà mai più, cori perfetti, momenti rallentati di grande effetto che solo in Relayed torneranno imperiosi.

Otto minuti di classe, quelli di Roundabout, con una tecnica, nonché una maestrìa, che rimarranno nella storia del Rock. Cans And Brahms, estratto dalla quarta sinfonia di Brahms  è interamente eseguito da Wakeman ed è fra le sue migliori rivisitazioni classiche, mentre la breve We Have Heaven è sì breve ma intensa e meravigliosa per la voce e soprattutto i vocalizzi di Jon Anderson, angelici come lo saranno solo nei sui primi album solistici. South Side Of The Sky invece è un pezzo quasi hard dove comunque la voce di Anderson riesce a farla sempre da padrone.

Dopo l’altra breve Five Per Cent For Nothing, quasi un divertimento, ecco Long Distance Runaround, un altro classico del repertorio della band, che si lega a The Fish, tutta cori ed effetti, e che è una canzone che sembra scritta da Bach in persona tanto è barocca e comunque anche questa si rivela una pietra miliare dell’album.  In Mood For A Day Steve Howe ci dimostra tutta la sua bravura alla chitarra acustica e fa da degno preludio a un altro capolavoro del disco, Heart Of The Sunrise, dieci minuti intensi ed emotivi che arrivano a 11 e mezzo perché, non menzionata nelle tracce, è inclusa come finale una ripresa di We have Heaven. Ottima anche qui anche la batteria di Bruford così come il  mellotron di Wakeman, magistrali gli inseguimenti fra i vari strumenti, sempre in tensione fra loro, fino alla tranquillità andersoniana prima della fine per poi di nuovo esplodere tutti insieme nel gran finale, un attimo prima della citata ripresa.

 

                                                                                                                      Nicola M. Spagnoli

 

Foto (1) 

 

Foto (2)