Nicola Maria Spagnoli

Roma, lunedì 11 aprile 2016 -  A quattro anni dalla sua scomparsa vogliamo ricordare uno degli artisti più importanti del panorama italiano, Lucio Dalla ma resta difficile scegliere una copertina adatta per parlarne, una copertina che vada di pari passo con la qualità del contenuto fra le tante che hanno illustrato album fondamentali non solo nella carriera del nostro ma di tutta la musica italiana. Abbiamo quindi sorvolato sulle prime opere, già comunque geniali, ma con grafica standard anni ’60 come quella con un selfie accovacciato su 1999 o quella grafica/floreale di Terra di Gaibola ed anche sul coloratissimo disegno bucolico di Armani per il fortunato post-sanremese Storie di Casa Mia, per concentrarci sul primo capolavoro assoluto, Il Giorno aveva cinque teste (foto 1).

 In questo album, com’è noto, Dalla inizia la collaborazione con il poeta e intellettuale marxista Roberto Roversi, fondatore insieme a Pasolini della rivista L’Officina, che si protrarrà per quattro anni spalmati sui tre album-capolavoro detti della Trilogia. Da sottolineare quindi il coraggio di Lucio che dopo il successo di 4/3/43, de Il Gigante e la Bambina e di Piazza Grande, non si culla affatto sugli allori ma stravolge il suo modo di fare musica popolare acuendo l’istintiva musicalità e le qualità vocali, facendo in pratica un vero e proprio teatro musicale e al contempo abbracciando anche forti denuncie sociali con i testi ermetici e politici di Roversi e sforna, dopo questo, gli ancora più stupefacenti Anidride Solforosa (foto 2) e Automobili. Parlare quindi, nel particolare, di ognuno dei mitici brani del disco lasciamolo fare alla storia della letteratura italiana, qui è il caso di ricordare solo che aleggia l’alienazione umana della società post-contadina, industrializzata ma già in crisi profonda, ben descritta in pezzi come Alla fermata del tram o Un’auto targata TO.

Con Il grippaggio sembra di essere in Tempi Moderni di Charlie Chaplin e con l’Operaio Gerolamo veniamo catapultati in piena Metropolis di Fritz Lang. Una risposta al De Andrè de La guerra di Piero e la Ballata dell’eroe possiamo intravederla in E’lì. Ma il disco non è solo apocalittico e oscuro, non sono solo canzoni che “raccontano la verità degli ultimi” ci sono anche squarci di luce e speranza che possiamo intravedere in Passato, Presente o nelle divagazioni oniriche ed alquanto fiabesche de Il Coyote e de La Bambina. Insomma un capolavoro che precorre i tempi, forse ancora un po’ acerbo rispetto ai successivi due album, ma pur sempre pietra miliare della canzone italiana. La copertina fu affidata all’Up & Down Studio, un gruppo di grafici molto accreditato allora presso l’RCA italiana, che aveva iniziato con il primo 45 giri di De Andrè, il mitico Nuvole barocche con un disegno naif che non può non ricordare Henry Rousseau e che, dopo Il Giorno e con grafica molto più matura, realizzò i capolavori dei Trip di Joe Vescovi, il decisamente pop Caronte con la citazionistica sdrammatizzazione di un’incisione di Gustave Dorè e poi la fantasmagorica copertina apribile a libro di Atlantide.

Ne Il Giorno aveva cinque teste, che all’inizio era apribile e poi già dalla prima ristampa non più, su una terra desolata e da una città globale dove si distinguono tutti i maggiori monumenti mondiali, muovono due processioni, a destra di uomini e a sinistra di donne, in tutti i possibili costumi esistenti, attuali e passati fino ad arrivare ai due soggetti in primo piano, novelli Adamo ed Eva, con addosso solo la loro pelle e che rappresentano il futuro dell’umanità tornata probabilmente vergine e pulita. Questa allegoria penso tragga ispirazione anche da un celebre dipinto rinascimentale, L’Amor sacro e l’Amor profano di Tiziano Vecellio, dove il sacro è naturalmente la donna nuda, anche se questa realizzazione grafica ha uno stile schietto e primitivo, usuale per l’epoca, certamente diverso dal quadro vecelliano. Dalla amava oltremodo l’arte, specie quella contemporanea, era un serio collezionista, aveva anche una galleria e considerava arte e musica due cose intercambiabili, quindi non poteva non rivolgersi che ad artisti e grandi fotografi per le sue copertine, spaziando fra i generi più diversi.

All’arte figurativa tout court come in quella di Anidride affidata al modenese Enrico Manelli, a quella fumettistica del grande Milo Manara per la tripla compilation 12000 lune, alla transavanguardia coinvolgendo addirittura il massimo esponente Mimmo Paladino per Henna e poi anche per l’ultimo live, con De Gregori, Work in Progress, all’arte concettuale del Giotto delle Langhe, Valerio Berruti per il sottovalutato Angoli nel cielo, l’ultimo disco di inediti. Anche la fotografia fu privilegiata da Lucio soprattutto con le foto fatte o elaborate da un amico e fotografo dai gusti paesaggistici e minimalisti famoso nel mondo, Luigi Ghirri fin dai tempi della storica cuffietta con occhialini per Dalla del 1980 per seguire, fra gli altri, con Dalla/Morandi, con Cambio, fino all’essenziale veduta marina per la compilation Questo è amore (foto 3).

 

a cura di Nicola Maria Spagnoli

 

Foto 1

 

 

Foto 2

 

Foto 3