Nicola Maria Spagnoli

Roma, venerdì 27 maggio 2016 -  Nel 1968 venne dato alle stampe il primo capolavoro dei Led Zeppelin, un gruppo nato dalle ceneri degli Yarbirds che, nonostante la fama e la qualità riconosciuta oltreoceano e in tutta Europa, in Italia avevano fatto letteralmente un buco nell’acqua nel nostro San Remo 1966 dove il loro nome, fra l’altro, era stato tradotto dal buon Mike in ‘Gallinacci’. I Led, bisogna riconoscerlo, hanno avuto sempre buon gusto con le copertine dei loro vinili ad iniziare da quella dello Zeppelin LZ 129 Hindenburg in fiamme sul disco del debutto.

 Il terzo disco fu addirittura fantasmagorico con, almeno nelle prime copie, una ruota centrale che faceva vedere tutti gli oggetti dell’interno pop/psichedelico. Stranamente però, la copertina più semplice, quella con il vecchietto con sul groppone la fascina di legna, toccò al loro capolavoro ed anche disco più venduto, il Led Zeppelin IV. Anche la copertina di Presence con l’esoterico monolite kubrichiano fece molto parlare di se mentre quella di House of the holy dello studio Hipgnosis con i biondi bambini nudi che scalano il selciato del gigante in Irlanda venne molto elogiata dai critici e considerata addirittura la più riuscita di tutte mentre molto furbesca apparve, con le sue innumerevoli variazioni, quella di In Through The Out Door curata da Storm Thorgerson in persona.

L’ambizioso Phisical Graffiti apparentemente si presentava dimesso (foto 1) sullo scaffale dei negozi con la foto in B/N di un anonimo edificio di St. Mark Street a New York ma una volta avuto in mano si rivelava ben più complesso essendo una busta di cartone tutta bucherellata sulla maggior parte delle finestre raffigurate, sia davanti che dietro dove la stessa foto era virata sul viola scuro ad intendere la visione notturna. Opera esordiente di Mike Dudd dell’agenzia AGI che più in là avrebbe fatto una cosa quasi simile con Van Morrison con il suo A period of Transition, mentre avrebbe fatto addirittura il boom con il multimilionario Breakfast in America dei Supertramp, del tutto diverso.

In Phisical altre due buste si estraevano dal contenitore principale, dove allocavano i dischi, e qui, sia davanti che dietro, nelle finestre, ben 72 foto (n. 2)! Oltre alle istantanee dei nostri musicisti (in una molto scura pare anche di intravedere un Page nudo!) c’è la più varia umanità, da anonime donnine discinte e altre leccornìe osè, a culturisti in posa, gattini e mostri tipo king kong, dirigibili e alianti, più volte Elisabetta II in trono, Elisabeth Taylor nelle vesti di Cleopatra e persino la foto di Leone XIII, Papa naturalmente. Non mancano foto imbarazzanti come quella del presunto assassino di John Kennedy, Lee Oswald ma in compenso l’arte italiana è privilegiata ed ecco la leonardesca Dama dell’ermellino, il Bacco caravaggesco, la Vergine con bambino del Pontormo, angeli ieratici o spiritosi e chi più ne ha ne metta.

Ma non è finita, dentro ancora un consistente doppio cartone con i titoli e le credenziali ma anche con le stesse finestre. Anche questo doppio cartone inseribile nel bustone principale sia per far vedere le finestre tendate come nell’originale (foto 3) sia con dentro grandi lettere rosse che formano il titolo dell’album. Come idea non era certo originalissima anche se più sfarzosa, difatti Andy Warhol l’aveva già sperimentata nel 1972 con la copertina di un album solista dell’ex Velvet Underground John Cale, la bellissima The Academy in Peril impostata come una raccolta di diapositive Kodak con all’interno però solo scatti più o meni ravvicinati del viso dell’artista. Lo stesso Warhol ci riprovò nel 1978 con l’oltraggiosa, come al solito, Some Girl dei Rolling Stones ma anche da noi, e molto prima, questa idea era stata usata.

Nel 1971 troviamo infatti ben due dischi in cui ci sono finestre anche se non bucate, in Casa Mia dell’Equipe 84 e, come non ricordarlo, nel capolavoro di Claudio Rocchi, quel Volo Magico n.1 che apparentemente mostrava una finestra chiusa ma la cover si apriva al centro della parete dov’era la modesta finestrella per illuminarci con un cielo variopinto e stellato. Ma da dove vengono tutte queste idee con soggetti in finestra? Certamente dalla storia dell’arte dove gli esempi non si contano a partire da Magritte, ma vogliamo ricordare anche, andando più indietro, i ritratti dello stile quattrocentesco quando cesellatissime cornici/finestre contenevano, impreziosendoli, ritratti di Principi e nobili fra cui il più celebre è certamente quello dei Duchi d’Urbino di Piero della Francesca.

Naturalmente un po’ bisogna pure parlare del contenuto anche se questa rubrica riguarda le copertine dei dischi e quindi diciamo che musicalmente, e tutti concordano su questo, Phisical Graffiti è un buon disco, collocato nella discografia qualitativa dei Led subito dopo i primi quattro capolavori ma questo è un po’ un limite per tutti i doppi LP a partire dal White Album dei Beatles, per continuare con l’Exile on main street degli Stones. Insomma in breve si può dire che quando i temi sono disparati ed i brani tanti, qualche riempitivo inevitabilmente ci scappa. Phisical raccoglie non solo materiale nuovo ma anche qualche refuso dalle registrazioni di III e IV, c’è quindi una certa discontinuità stilistica e quindi. Col senno di poi, meglio sarebbe stato fare un disco solo con soltanto la grandiosa Kashmir, il bel rock Tram­pled Un­der­foot, l’ambiziosa In The Light, la jam datata ma efficace con Ian Stewart Boogie With Stu, la maestosa The Rover e naturalmente House of the holy. Sarebbe stato anche questo un capolavoro assoluto.

 

(foto 1)

 

(foto 2)

 

(foto 3)