Stampa 

Mario Ciro Ciavarella

San Marco in Lamis, domenica 29 maggio -  “Hibakusha”, un termine che equivale a vivere senza una vita. Ma solo ricordi che rincorrono altri ricordi. Senza dubbio pieni di dolore. È il termine usato in Giappone per definire i sopravvissuti alla bomba atomica di Hiroshima e Nagasaki. Quelle persone che si sono salvate, diversamente da quelle che sono morte, eppure stavano tutte lì, a pochi metri una dall’altra. Non c’è logica né sulle cose belle e nemmeno su quelle brutte. Casualità più assurda del destino.

 Sopravvissuti non solo alla guerra atomica dell’epoca ma anche ad una vita avida di generosità da parte del prossimo. Poichè gli “hibakusha” erano dei soggetti sempre in bilico tra la vita e la morte. Essendo radioattivi.

 Nessuno voleva avere a che fare con loro, figuriamoci se si sposavano. E se lo facevano magari si sposavano tra di loro, tra “hibakusha”.

Shozo Kawamoto, che adesso ha 82 anni è uno di loro. Ha visto letteralmente volatilizzati, il giorno dello scoppio della bomba atomica, davanti ai suoi occhi i suoi genitori. E sua sorella morire 6 mesi dopo.

Ora fa il custode al Museo della Memoria di Hiroshima, dove sono conservati immagini e oggetti di quella maledetta mattina di settantuno anni fa, quel poco che all’epoca si salvò adesso è custodito dal signor Kawamoto.

Guida la gente all’interno del museo, e spiega. Mi chiedo: come fa questa persona a spiegare alla gente cos’è l’orrore? Cos’è l’uomo? Cos’è la civiltà? Cos’è il progresso? Cos’è la dignità? Cos’è il senso della vita?

“Spiegando” le foto e gli oggetti reduci da Hiroshima, quali parole potrebbe usare questo custode ai turisti che cercano di capire l’Uomo?? Io penso che non parla per niente.

Quando entrano i turisti all’interno del Museo della Memoria della città giapponese, il custode non parla. Ma vede i loro sguardi. Vede le smorfie dei visitatori che ammirano il prodotto del marciume umano. Che ha trovato l’apice in quel giorno: quando scoppiò la bomba atomica per la prima volta.

Le parole non dette del custode e dei visitatori, penso che siano più eloquenti di qualsiasi dialogo. Un silenzio che nemmeno dio è riuscito a trattenere in quel 6 agosto del 1945.

In quel giorno dio ha urlato più forte di quando morì suo figlio. Ma nessuno riuscì a sentirlo. Poiché le urla della gente straziata erano più forti di quelle di dio.

In quel museo non c’è solo il silenzio del custode sopravvissuto, ma anche i silenzi delle vittime e il silenzio di dio. Da quel giorno dio non parla più. E durerà fino a quando non nasceranno tanti uomini di buona volontà che supereranno in numero quelli di “cattiva volontà”.

E quando questo succederà, il silenzio di dio finirà. E griderà. Griderà di gioia! Più forte dell’esplosione di una bomba atomica.

 

                                                                                             Mario Ciro Ciavarella