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Mario Ciro Ciavarella

San Marco in Lamis, venerdì  luglio 2016 -Quando si guarda una foto, è come se ci fosse da parte dello spettatore una specie di “graduatoria”. In base a quello che si guarda si mettono in un’ipotetica graduatoria quelli che sono più simpatici e quelli meno. Lo si fa senza cattiveria, ma per istinto, per grado di conoscenza della gente fotografata. Oppure, tempo dopo, si mettono in ordine tutti i pezzi di quella foto e si tirano le somme sull’importanza di quell’immagine.

  È quello che è successo all’immagine di questo articolo: una delle più importanti del secolo, non solo in senso sportivo. In questo scatto si raccontano le vite di migliaia di persone. Forse di milioni. Tutte di colore.

 Tranne uno: biondo, australiano, atleta tra i più forti del mondo in quegli anni. Peter Norman, il primo da sinistra in quella foto.

 Arrivò secondo nella finale dei 200 metri alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968, pochissimi ricordano il suo nome. Più conosciuti gli altri due: il vincitore di quella gara Tommie Smith, e il terzo classificato John Carlos, entrambi con la pelle nera e statunitensi.

 Ed entrambi con il pugno chiuso tenuto alto e coperto con un guanto nero (simbolo del Black Power). Sul podio i due atleti non indossavano le scarpe, ma erano scalzi come denuncia del fatto di essere delle persone povere.

 Poveri non solo in senso economico ma soprattutto in senso sociale, l’ingiustizia era per loro la normalità. Pochi mesi prima era stato assassinato Martin Luther King, un altro esponente per la lotta dei diritti umani.

 Nero su nero: pelle nera coperta da altra pelle (finta) nera. Come dire, “siamo potenti più dei bianchi, se vogliamo. Non possiamo subire ancora, non dobbiamo essere considerati una razza inferiore, la potenza dei neri è superiore al resto del creato”. Ed è vero: atleticamente sono più forti dei bianchi.

 Non per niente l’uomo è nato in Africa, e da lì ha generato tutta l’umanità, spostandosi nel tempo. Gli sportivi più forti sono tutti di colore, in quasi tutti gli sport.

 L’unico che non ha il pugno chiuso e guantato sul podio è l’atleta australiano, non perché non ha voluto indossarlo, ma perchè Tommie Smith ne aveva solo un paio. Ma tutti e tre gli atleti hanno sulla parte sinistra delle tute il distintivo del “Progetto Olimpico per i Diritti Umani”.

 Quando Peter Norman attaccò quel distintivo sulla sua tuta disse agli altri due atleti: “Si nasce tutti uguali e tutti con gli stessi diritti”.

 I tre velocisti non sanno che appena scenderanno da quel podio la loro carriera non solo di atleti sarà chiusa per sempre. E la vita un inferno.

 I due atleti statunitensi di colore vennero immediatamente radiati dalla federazione americana di atletica leggera e più volte rischiarono la vita. Non trovarono un posto di lavoro facilmente. Insomma, una vita miserevole, peggiore di quella precedente a quella gara olimpica.

 Anche la vita dell’atleta australiano si complicò: alle successive Olimpiadi di Monaco quattro anni dopo il velocista non venne convocato, nonostante avesse ottenuto più volte il tempo di qualificazione utile per partecipare a quelle Olimpiadi.

 E quindi a Peter Norman non restò che lasciare l’atletica, la sua famiglia screditata, fece l’insegnate di ginnastica come privato, il sindacalista e il macellaio. Una vita distrutta dall’Australia dei bianchi.

Come disse John Carlos “Se a noi due ci presero a calci nel culo a turno, Peter Norman affrontò un Paese intero e soffrì da solo”.

Quando l’Australia organizzò nel 1996 le Olimpiadi a Sidney, a Peter Norman la federazione gli offrì “un’ultima possibilità di redenzione”: doveva chiedere pubblicamente scusa per l’episodio del 1968, sul podio di Città del Messico. In cambio un posto fisso e componente dell’organizzazione delle Olimpiadi australiane. Naturalmente Peter Norman li mando affanculo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Peter Norman è stato il più grande velocista australiano di sempre. Morì improvvisamente nel 2006, senza riabilitazione da parte del suo schifoso Paese.

Solo quattro anni fa il governo australiano riabilitò l’atleta chiedendo scusa per il trattamento riservato al suo più forte velocista di tutti i tempi. In questo caso era troppo tardi!!!

Al funerale di Norman, Tommie Smith e John Carlos portarono la bara sulle spalle del loro amico.

                                                            

                                                                      Mario Ciro Ciavarella 

P.s.: le Olimpiadi da quell’episodio fino ad oggi, hanno ancora senso?????