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di Luigi Ciavarella

San Marco in Lamis, sabato 9 dicembre 2017 -  Il gruppo appartiene alla lista dei gruppi più rumorosi del rock, penultimi per considerazione, da parte della stampa musicale del periodo, soltanto agli Uriah Heep, di cui abbiamo già scritto. La formazione nasce nel Michigan, nelle incontrastate terre del Soul della Tamla Motown, e suona da subito un hard rock potente e viscerale che non ha precedenti nella storia della musica Rock. Sono in tre: Mark Farner, il ruvido chitarrista e cantante dalla voce squillante, Don Brewer, il batterista rullo compressore e, il più bravo di tutti, Mel Schacher, il bassista dotato di una linea di basso molto precisa che farà scuola.

 Il gruppo deve tutto a Terry Knight, l’ex leader dei Pack, che li porterà al successo grazie alla potenza del suono con cui la band si esprime in scena. Il loro debutto avviene al Festival Pop di Atlanta di fronte ad oltre centomila persone. Il loro suono torrenziale, devastante, colpisce trovando da subito riscontro in quegli ambienti in cui la musica rock viene espressa in decibel piuttosto che in arte sopraffina. Infatti la loro naturale collocazione è sul palco, nel luogo in cui esplodono i loro istinti più selvaggi e dove maggiormente si compie il rito sciamanico del rapporto diretto tra musicista e spettatore senza mediazione alcuna. 

Su disco debuttano nel 1969 con un album che mette subito in chiaro le loro potenzialità musicali mettendo subito a segno il successo col brano Time Machine. L’album si intitola On Time e contiene almeno altri tre brani storici del gruppo: Are You Ready, Heartbreaker e TNUC. L’ultimo dei quali possiede un assolo di batteria incredibile, biglietto da visita di uno dei drumming più fantasiosi e potenti del rock. Per conoscere da vicino il loro sound basta l’ascolto del loro album Live del 1970, appunto Live Album, ritenuto un classico del genere e dove il famoso power trio dispiega tutte le sue potenzialità. Il disco giunge dopo due dischi meno interessanti, Red Album (chiamato così per il colore rosso della copertina), e Closer To Home, entrambi impegnati a consolidare il loro suono. Da sottolineare però almeno due brani importanti: Paranoid (nulla a che vedere con i Black Sabbath) e Inside Looking Out, una cover degli Animals, peraltro magistralmente interpretata.

Survival, il loro quinto album, sembra, tra quelli prodotti in studio, il più rappresentativo se non altro per una maggiore attenzione rivolta alla varietà dei suoni, con pezzi “rubati” ai Traffic (Feelin’ Alright) e Rolling Stones (Una Gimme Shelter, altrettanto epica) che fanno da sfondo ai contenuti di un album ritenuto non a torto come il migliore della loro discografia in studio.

I successivi album, da A Pluribus Funk, celebre per la copertina del disco a forma di moneta, (ma anche per Loneliness, una delle più belle canzone dei Grand Funk) e Phoenix che invece allarga lo spettro del loro suono, con un tono generale più pacato e l’introduzione in formazione di un tastierista (Craig Frost) con risultati non proprio esaltanti. Il loro canto del cigno si intitola We’re An American Band del 1973 col brano omonimo che introduce la band nel mondo mainstream con gran successo, senza  perdere tuttavia l’energia del passato. Il gruppo d’ora in avanti si chiamerà soltanto Grand Funk e avrà una andatura regolare, con cadute di tono spettacolari, riprese altrettanto spettacolari e anche il conforto, in un disco, della produzione di Frank Zappa senza tuttavia più riprendere l’antico vigore che li ha contraddistinti nell’universo del Rock, quello più selvaggio ed istintivo che ha reso grande la loro storia.

 

di Luigi Ciavarella