Giuseppe Delle Vergini

San Marco in Lamis, giovedì 31 gennaio 2019 - Ecco la 2° puntata  di un racconto lungo - o romanzo breve -  scritto da Giuseppe Delle Vergini anni fa. Lo stesso racconto è stato ispirato da un fatto di cronaca nell'infinita tensione che esiste tra israeliani e palestinesi e ha sullo sfondo la Shoah. E' la ricerca di un dialogo che vede la differenza di età dei protagonisti, la loro sofferenza e la passione per il bello e il buono, come può essere la musica, come elementi positivi per costruire la pace.

 

 

 

III Capitolo

Nell’attentato erano morte dodici persone. Tra loro due bambini di dieci e tredici anni. Tornavano da scuola. Questa volta, triste novità destinata a ripetersi, l’attentatore era stata una donna. Una madre di famiglia che aveva perduto il marito e il figlio uccisi in uno scontro a fuoco con i soldati israeliani lungo la striscia di Gaza. Ilda ascoltava la radio mentre in silenzio faceva colazione a casa dell’amica. Non avevano voglia di commentare niente. Ogni parola sarebbe stata fuori luogo. Bastavano le notizie nude e crude, seppure di parte.

- Ora devo proprio andare… - fece lei rivolta all’amica.

- Davvero non vuoi fermarti ancora in po’? Potresti partire dopo il pranzo.

In quei momenti stare insieme era rassicurante. Avere la certezza che una persona cara era viva procurava sollievo. Era una piccola grande gioia della vita. Ritornavano a galla vecchi e terribili ricordi, quando ritrovarsi in casa significava che nessuno, quel giorno, era incappato nei rastrellamenti. Lei era solo una bambina ma quell’angoscia e quella gioia le erano rimaste dentro, emozioni contrastanti e indelebili impresse nel profondo dell’anima. Si salutarono con un forte abbraccio, inconsciamente consapevoli che poteva essere l’ultimo.

“Assurdo, assurdo!” pensava Ilda mentre aspettava l’arrivo del suo autobus. “Assurdo vivere in queste condizioni! Eppure sembra prevalere la rassegnazione, un fatalismo come se tutto debba ineluttabilmente continuare così…”

Vide l’autobus arrivare. Fu l’istinto dettato dalla paura a farle osservare attentamente le persone che stavano per salire sul mezzo. La vista di un poliziotto sull’autobus, messo lì apposta a controllare i passeggeri che vi accedevano, in parte la rassicurò. Le portiere si richiusero, l’autobus ripartì. Ilda cercò con lo sguardo un posto libero e vide una mano che la salutava. Guardò meglio e riconobbe il ragazzino del giorno prima. Le fece segno di sedersi accanto a lui perché il sedile era vuoto.

- Buon giorno! – fece Ilda – Il mondo è proprio piccolo e Gerusalemme lo è ancor di più. Ci ritroviamo! Dove stai andando di bello? Ma – aggiunse subito dopo - non dovresti essere a scuola?

Lo disse come una nonna che aveva sorpreso il nipote nel posto e nel momento sbagliati.

- Le scuole da noi sono chiuse perché c’è il coprifuoco. L’hanno deciso i soldati. Ma io sto andando lo stesso a scuola. A scuola di musica! - rispose il ragazzo.

- Ah! Bene… - fece Ilda - E dove si trova la tua scuola?

Il ragazzo le disse l’indirizzo. Il viaggio sarebbe durato almeno altri cinquanta minuti.

 - Un po’ lontana!

- Si, è vero, però è quella che costa di meno. Altrimenti dovrei rinunciare. Mia madre invece dice che è importante e che pur se costa fatica e soldi, io devo continuare.

- Tua madre è una donna saggia. Io comunque mi chiamo Ilda. Piacere – gli porse la mano - E tu?

- Io Omar! - rispose tutto contento il ragazzino stringendole la mano.

Tra i due, a pelle, ci fù simpatia. Scambiarono ancora qualche parola. Il ragazzino veniva da un villaggio palestinese ai confini con la città. Non era proprio un bel posto. Alcuni dei kamikaze partivano proprio da quella zona. Così aveva detto più volte la radio. Prima di arrivare alla sua fermata, Ilda disse:

- Ascolta Omar, io abito molto più vicino della tua scuola e potrei darti lezioni di musica senza farti pagare. A patto che tu studi con impegno. Guarda, abito proprio lì... – e indicò con la mano una piccola casa dalle imposte socchiuse – Esattamente a quel portone verde. Se qualche volta vorrai venirmi a trovare, suona pure alla mia porta. Così possiamo parlarne con calma e accordarci su cosa si può fare. Allora, ti aspetto? - aggiunse dopo aver premuto il pulsante della richiesta di fermata ed essersi alzata per guadagnare l’uscita.

- Va bene, ci penserò! - rispose Omar contento.

- Ma prima devo essere sicura che tu davvero abbia la vocazione del musicista! - aggiunse Ilda scendendo dall’autobus.

Si salutarono con la mano. Le portiere si richiusero creando una barriera invalicabile al loro dialogo.

 

IV Capitolo

Non se l’aspettava. Per svariate ragioni non ultima la diversa appartenenza e l’età. Invece una mattina di primavera sentì suonare alla porta. Non aspettava nessuno.

“Chi sarà mai?” – disse fra sé – “Il postino è già passato…”

Andò ad aprire e si trovò davanti un ragazzino riccioluto e di pelle scura. Dapprincipio non lo riconobbe e chiese:

- Buongiorno. Cosa vuoi?

- Signora sono Omar, quello che studia musica. Non ti ricordi più di me? Ci siamo incontrati in autobus…

- Ah! Sì, lo studente di flauto! Come stai? Entra, non restare lì sulla porta…

Omar entrò pieno di timidezza. La casa di Ilda era grande rispetto alla sua e gli sembrò bellissima. I pavimenti chiari e alle pareti quadri e fotografie. Su un tavolino rotondo, vicino ad un poltrona, un vaso di fiori che profumavano la stanza. Le finestre tutte con i vetri. E le tende color azzurro attenuavano la luce del sole. Non aveva mai visto una casa tanto bella e pulita. Gli venne da chiedere:

- Quante persone abitano in questa casa? E’ grande…- e mentre lo diceva continuava a osservare quella prima stanza così accogliente.

- Per ora sono sola - fece Ilda stupita ma subito aggiunse - Vuoi un bicchiere di aranciata?

La domanda del ragazzino l’aveva messa un po’ in imbarazzo.

- Non mi ricordo più il tuo nome… - chiese mentre gli versava da bere nel bicchiere.

- Omar, signora. Il mio nome è Omar.

- Ah già, è vero! Ti chiami Omar. L’hai appena detto. Scusa ma non riuscivo a ricordarmelo. Sai, sono vecchia io! Prendi, bevi questa aranciata e poi dimmi come stai. Io comunque mi chiamo Ilda e non signora… - aggiunse in tono serioso per metterlo il meno possibile a disagio.

Ilda, chiacchierando con il ragazzo, seppe che viveva in un villaggio ai confini della città. Erano sei fratelli, tre donne e tre maschi e lui era il più piccolo. Sua madre, libanese, insegnava a scuola mentre suo padre non lo vedeva spesso. Era un po’ di tempo che non tornava a casa. Ilda non riuscì a capire se l’uomo fosse morto o in prigione oppure latitante. Era stata la madre di Omar – ora lo ricordava – a insistere affinché il figlio continuasse a studiare musica nonostante il lungo viaggio, perché di un viaggio si trattava, per frequentare la scuola di musica comunale a Gerusalemme. Adesso la situazione economica della famiglia era problematica. Il padre era via da casa. C’era troppa tensione in giro e la scuola del villaggio era stata chiusa per “motivi di sicurezza”. Perciò sua madre, una professoressa di matematica, non poteva più insegnare e da un po’ di tempo non riceveva il suo stipendio. Aveva quindi incominciato a recarsi in città in cerca di un lavoro. L’aveva anche trovato, operaia in una fabbrica di lavorazione della frutta. Ma negli ultimi tempi attraversare i posti di blocco per arrivare a Gerusalemme era diventato impossibile. I controlli erano meticolosi e spesso le attese duravano ore. Sua madre, a causa di diversi ritardi, era stata ben presto licenziata. L’ultima cosa a cui pensare in tale situazione era la scuola di musica. Ma ad Omar piaceva suonare il flauto.

- E così ti sei ricordato della mia proposta… - disse Ilda.

Il ragazzo annuì con la testa. Era in imbarazzo. Seppure giovanissimo, doveva avere un grande amor proprio. E tanto orgoglio. Ma la passione per la musica doveva essere altrettanto forte. Ilda non fece più domande. Chiese ad Omar se voleva dell’altra aranciata e al suo diniego subito gli propose di farle ascoltare un pezzo di musica col suo flauto. Omar quasi si smarrì per tanta fretta. Prese però lo zainetto, srotolò un panno rosso che avvolgeva un flauto color argento, avvitò i due pezzi, si inumidì le labbra e dopo aver provato alcune note e sistemato sul tavolo lo spartito, attaccò un’aria melodica, a tratti triste. Ilda lo osservava senza battere ciglio seguendo le note sul pentagramma. Ogni tanto Omar la sbirciava timido, per capire se doveva smettere o meno. Ma gli toccò finire tutto il pezzo. Ci fu un momento di silenzio.

- Bene… - proferì Ilda - Vedo che te la cavi benino. Ma questo era un pezzo facile. Proviamo con quest’altro.

Andò nella stanza vicina e tornò con degli altri spartiti.

- Dai uno sguardo qua e vedi se riesci a suonare questo brano. Non è difficile – aggiunse addolcendo il tono di voce che sapeva proprio di professoressa – Ma devi concentrarti bene.

Il ragazzo prese in mano i fogli. Li guardò in silenzio osservandoli attentamente. Riguardò le note con il dito e poi provò a eseguire la musica con il flauto sulle labbra, ma senza emettere alcuna nota. Ilda osservava la concentrazione di Omar.

“Questo ragazzino ha carattere” – pensò - “Se non gli mancano buona volontà e voglia di studiare, potrà fare grandi progressi. Insieme ad una bella doccia che non guasterebbe affatto”.

Le note del flauto vennero fuori dolci, all’inizio incerte più sicure poi, di nuovo incerte. Si interruppero, ripresero, incespicarono, si rafforzarono e pur se con tanta fatica, arrivarono fino alla fine del brano. Omar era tutto teso e imperlato di sudore anche se non faceva caldo. Era visibilmente provato. Alla fine deglutì e alzò il capo lentamente verso Ilda, attendendo il verdetto.

- Bene, bene. – disse la donna – Te la sei cavata discretamente. Ma bisogna migliorare. Devi studiare di più, provare e riprovare. Ma sei bravo!

Lo disse accarezzandogli i capelli riccioluti e scuri.

- Prendi questi fogli. Studia bene lo spartito e torna fra tre giorni, alle tre e mezza del pomeriggio. Ti aspetto e sono convinta che allora il brano lo suonerai ad occhi chiusi. Adesso vai, perché ho da fare…

Omar accennò un sorriso, ripose il flauto nel panno rosso, ricompose i fogli dello spartito e infilò il tutto nello zainetto.

- Arrivederci signora…- disse avviandosi verso la porta.

- Arrivederci a giovedì, Omar.

Aprì la porta e aggiunse, mentre il ragazzo era già in strada:

- Ricordati che mi chiamo Ilda!

 

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1° Puntata (Il Muro) Pubblicata Sabato 26 Gennaio 2019