Stampa 

Mario Ciro Ciavarella Aurelio

San Marco in Lamis, venerdì 1 febbraio 2019 - “Ho in mano il disco da un milione di copie!!” Quale discografico o editore  non vorrebbe sentirsi dire da un musicista o scrittore una frase del genere? Eppure di tanto in tanto ci sono artisti che possono “predire” il futuro asserendo qualcosa del genere. E in effetti quando si fanno produzioni “buone”, è facile dire che “è la volta giusta”. Spesso per diventare molto popolari si cerca di raggiungere il successo facendo ciò che piace agli altri, a discapito di quello che piace all’autore. E quindi arriva il momento di tirare i remi in barca, e lasciarsi andare a ragionamenti meno personali, scendendo a patti con il business e tutto ciò che gli gira intorno.

 E così arriva il momento di vendere un milione di copie di un disco. Come riuscì a fare Franco Battiato, che si presentò dal suo produttore con i nastri dell’album “La voce del padrone”. Il secondo miglior album italiano  di sempre dopo “Creuza de ma” di Fabrizio De Andrè. Era l’estate del 1982.

 O per essere più precisi era l’autunno del 1981, ma il successo arrivò alcuni mesi dopo per poi esplodere sulle spiagge assolate dell’estate del 1982. Con questo album Battiato si distacca quasi completamente dal suo modo di concepire la musica, fatta soprattutto da influenze “progr” degli  anni ’70. Prima di questo album Battiato aveva spesso sperimentato musicalità innovative, per poi arrivare alla popolarità con “L’era del Cinghiale Bianco” (1979) e poi con “Patriots” (1980).

 “La voce del padrone” è pieno di tanto smarrimento dell’autore, anche se le musiche spesso sono piuttosto allegre, e sono le musiche ad attirare l’attenzione del pubblico, che successivamente scoprì anche i testi “non  sense” che poi sono diventati dei tormentoni, rimasti fino ai nostri giorni. La copertina dell’album è fin troppo semplice: il cantante che si dondola  su una sedia a dondolo che è stata tolta in post produzione, la Via Lattea e alcune palme.

 L’esoterismo di Battiato presente in lavori precedenti, non lo ritroviamo  più in questo album, i testi lasciano molto spazio a citazioni letterarie e musicali, grazie alle quali molti italiani scoprirono l’esistenza della minima immoralia, dei gesuiti euclidei, di contrabbandieri macedoni, di vecchie bretoni e di tanti personaggi più o meno reali che affollano i testi de “La voce del padrone”.

 Successivamente Battiato non riuscì a replicare il successo dell’album da un milione di copie, forse si accorse di aver “sbagliato”: è troppo facile farsi apprezzare quando si fa qualcosa che all’autore “non piace poi così tanto”. L’album successivo “L’arca di Noè”, infatti non viene ricordato da quasi nessuno: qui non ci sono strane figure e musiche fin troppo orecchiabili. Battiato era ritornato indietro nel tempo in appena pochi mesi.

 E i testi soprattutto ridiventarono oscuri e poco propensi “alla bella vita”.

 

Mario Ciro Ciavarella Aurelio