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Mario Ciro Ciavarella

San Marco in Lamis, venerdì 13 settembre 2019Karl-Heinz Schnellinger si stava dirigendo mestamente verso gli spogliatoi. Mancavano pochi secondi alla fine dell’incontro tra Italia e Germania. I primi novanta minuti non erano stati granchè: solo un gol per noi. E poi solo quasi una noia mortale, non degna di una semifinale del Mondiale di Calcio del 1970 svoltosi in Messico. E dopo gli italiani avrebbero incontrato in finale Pelè. E il resto del Brasile…

 E mentre il difensore teutonico stava raggiungendo gli spogliatoi, gli passa davanti ai piedi il pallone!! quello che avrebbe dato la denominazione per quell’incontro come quello del “secolo”. Mai definizione fu più esagerata. Dopo il pareggio siglato da Schnellinger, si disputarono senza dubbio “i tempi supplementari del secolo”, con il risultato finale di 4-3 per l’Italia. Però, Pelè stava lì, al varco, che aspettava il suo mondiale. Finale: Brasile - Italia: 3-1.  

 Ma al “Monumental” di Buenos Aires di quel 12 giugno del 1978, fu tutta un’altra partita: molto più bella di quella di otto anni prima tra Italia e Germania. Anche se forse pochi la ricordano. Il risultato è stato tra quelli più anonimi: 0-0. Dopo aver brillantemente superato la prima fase a girone, l’Italia vinse tutte e tre le partite compresa quella contro l’Argentina, si apprestava a disputare le partite del girone eliminatorio. Il portierone tedesco Sepp Mayer si presentò in campo stranamente con una divisa azzurra(??!!), forse voleva mimetizzarsi o confondere le idee agli azzurri.

 L’acqua cadde copiosa: 60.000 spettatori risentirono il freddo estivo argentino, da quelle parti le stagioni sono invertite. Divise con maniche lunghe e collo alto, sembrava di giocare in Germania, in quella dell’Ovest, come si diceva una volta. Fino al 1990, quando cadde il Muro di Berlino,  e da quel momento avemmo una sola Germania.

 Karl-Heinz Rummenigge, un nome che sembra una bestemmia. E se viene detta in tedesco vale doppia. I giocatori tedeschi inquadrati dalle telecamere sono tutti uguali: stessa altezza, “cubatura” corporea, sguardo vitreo. Rummenigge, è lui il giovane da tenere sotto controllo per 90 minuti. Lui più degli altri non farà trapelare nessuna emozione. Sembrano tedeschi orientali, e poco occidentali: disciplina ferrea e la vittoria prima di tutto! Ha il numero 11, l’attaccante tedesco. Nulla a che vedere con l’eleganza di quel giocatore che quattro anni prima vinse il mondiale: Franz Anton Beckenbauer, tedesco pure lui ma difensore di una Germania più  completa di quella del 1978. Diciamolo.

 Karl-Heinz Rummenigge però è il capo panzer, un carro armato umano che nulla teme e “miete” vittime sui campi di calcio. Bloccare lui significa fermare l’attacco tedesco. E i nostri difensori ci riescono: Scirea, Benetti, Gentile, Cabrini. La maglia grigia è sempre sulle spalle del nostro portiere  Dino Zoff. La partita viene decisa soprattutto a centrocampo e attacco con le giocate di Antonioni, Tardelli, Bettega, Rossi, Bellugi.

 Roberto Bettega, assente ai mondiali del 1982 in Spagna per infortunio, è invece presente in Argentina, e in questa partita fa tutto lui: occasioni mancate per un soffio e giocate per far arrivare i palloni nell’area di rigore avversaria. Paolo Rossi, alla sua prima esperienza in nazionale in un mondiale, parte più volte quasi da centrocampo, scambiando il pallone con alcuni “uno-due” micidiali. Ma alla conclusione in rete non riesce a definire in modo corretto (manca solo il gol).

 Tra tiri nello specchio della porta, parate miracolose dei due portieri e pali colpiti, se ne contano almeno una decina. Non ci si ferma nemmeno per un attimo. Nonostante la poca fisicità di calciatori come Rossi, Bellugi  e Tardelli, le gomitate e gli anticipi di forza sono alla nostra portata. Ma il gol non arriva per nessuna delle due compagini. Il tango argentino lo si vede ballare da ventidue calciatori su un campo da calcio, anche se i movimenti non sono quelli ortodossi; ma spesso spigolosi, scivolosi, fermata e fuga. E la musica non viene suonata con fisarmoniche e altri strumenti nostalgici, ma dalla pioggia battente e spettatori quasi muti, che vengono zittiti dalle tante imprecazioni dei giocatori in campo. 

 La pioggia continua a cadere, anzi si intensifica sempre di più, come se anche lei volesse spingere il pallone dentro una delle due porte, per un punteggio più giusto: almeno un gol. Le partite in Argentina si disputarono nel primo pomeriggio: da noi le vedemmo in tv in tarda serata. In casi di vittoria si scendeva in piazza per festeggiare anche a mezzanotte. Ma quella notte non si festeggiò una vittoria dell’Italia. E nemmeno i tedeschi gioirono per quel pareggio. E quando in un incontro di calcio non ci sono gol, quelle partite sono figlie di un dio minore. Di quelli che nessuno prega. Eppure le divinità dello “zero a zero” a volte ci regalano partite che rimangono nella mente non per la palla in rete, ma per le mani dei calciatori tra i capelli! Per i tanti  gol che non ci furono…

 

Mario Ciro Ciavarella Aurelio