Mario Ciro Ciavarella Aurelio

San Marco in Lamis, giovedì 25 giugno 2020 -  Negli ultimi giorni ci siamo scandalizzati (giustamente) dai modi e dai gusti dei popoli orientali su come uccidere e cuocere (se ce ne fosse bisogno) animali destinati alla gastronomia. In Cina in un “festival”, cani e gatti sono stati bruciati vivi per poi servirli a tavola. Tutto questo è senza dubbio atroce e ingiusto verso il resto della fauna (anche noi ne facciamo parte).

Ma ricordando il nostro passato, decenni fa, dalle nostre parti, più o meno succedeva qualcosa del genere: l’uccisione delle galline per scopi alimentari!! In pratica veniva prese per il collo e scannate oppure nella gola veniva inserita una forbice (la gallina era ancora viva!!) e la si faceva roteare all’interno del collo del volatile!! Ma andiamo con ordine…

Tempo fa le galline si compravano vive!! E non morte, nel senso già macellate, ma la macellazione veniva fatta in casa. Naturalmente una sola persona non riusciva a tenere ferma la gallina e ucciderla, ma aveva bisogna di essere aiutata almeno da un’altra. Spesso era un ragazzino non sempre di quella famiglia. A volte veniva “reclutato” in strada.

La donna usciva di casa di pochi metri e vedeva se c’era qualche ragazzetto adatto all’uopo, e siccome fuori c’erano frotte di ragazzi che giocavano, sceglieva quello che sembrava più idoneo: grassottello e il meno sudato di tutti (“chiù renzeddut”), e lo chiamava. Entrando in quella casa, il ragazzino vedeva una scena, tipo: una “callara” di una certa dimensione dove dentro c’era dell’acqua bollente con il fumo che usciva di fuori, una forbice e un coltellaccio!!, e una gallina “catturata” (ma anche due) buttata per terra e con le zampe legate da una cordicella.

La gallina sapeva che stava per essere giustiziata!! da innocente!! La donna proprietaria di quel pollame dava indicazioni al ragazzino su come aiutarla per mettere fine alla brevissima vita della gallina: doveva mantenere con tutte e due le manine le zampette della gallina, con tutta la forza che aveva in corpo!! Mentre lei la sgozzava. Tutto qui! Siccome i ragazzini si cibavano normalmente di quell’alimento, pensavano che fosse del tutto normale aiutare in quel modo le casalinghe armate. E i ragazzini non se lo facevano spiegare due volte: era tutto facile, bisognava mantenere le zampette della gallina e la signora in pochi istanti avrebbe staccato la testa della gallina dal resto del corpo. E questo è tutto. Veniva fatto tutti i giorni, quindi…

Non si sa come, ma tutta questa operazione della “ghigliottina casalinga”, quasi sempre non veniva esplicata nel giro di pochi secondi, ma a volte ci volevano minuti di vero “combattimento sleale”. Una gallina indifesa e impaurita, da una parte; e dall’altra una donna armata e un ragazzino più impaurito della gallina! Appena il ragazzino sollevava le zampe legate del volatile, la gallina capiva subito quale sarebbe stato il suo destino e iniziava a sbattere le ali (“sceddechiava”).

Le ali erano proprio all’altezza degli occhi del ragazzino, che accecato dallo sbattere della gallina, spesso la faceva cadere, ma non cadeva per terra, ma nelle “callara” con l’acqua bollente!! A quel punto si scatenava la signora rimproverando il ragazzino: “Che scije mbis, ha fatt cadè la jaddina int la callara, e mo com ima fa?”

Il problema lo “risolveva” la gallina stessa, che usciva dalla pentola e tutta bagnata si mettere a correre per la casa. La signora già aveva previsto la fuga della gallina, e si era premunita di una specie di fazzoletto gigante (“lu facceletton”), che buttava sul corpo surriscaldato del volatile. Una volta presa la gallina, veniva legata di nuovo, in modo molto più stretto; e rimetteva le zampette tra le mani del ragazzino: “Uagliò resbegghiet, quessa jaddina l’im accid, mica c la putim magnà viva?”

Il ragazzino ripresosi dallo shock iniziale, metteva più forza nel mantenere le zampette, che sembravano aver perso forza, colpa dell’acqua bollente che le aveva bagnate. Ma questa volta, la signora, con una mano manteneva il coltello e con l’altra riusciva a trattenere insieme le ali della   gallina: una prova di forza straordinaria. Il coltello iniziava a segare il collo del volatile, ma non sempre ri usciva a staccare la testa in modo netto, e allora si serviva di una forbice che veniva infilata nella gola della gallina, e la faceva roteare. Se tutto andava bene, lì vicino la signora aveva sistemato    un piccolo piatto dove far colare il sangue della gallina che sarebbe servito per altri preparati gastronomici.

Intanto la gallina iniziava a ribellarsi di nuovo: sembrava “tutto a posto” ma improvvisamente quasi tutto il corpo della gallina riprende vigore, il   ragazzo lascia “la prigioniera”, le ali riescono a liberarsi dalla morsa delle mani della signora armata, e alla fine di questo secondo round abbiamo il seguente risultato: la testa della gallina è tra le mani della signora, ma il resto del corpo è ancora vivo!! E corre dentro casa, senza la testa e con il sangue che esce da una piccolissima feritoia tra “capo e collo” (mo c vo).  

Il ragazzo sta quasi per svenire, la signora cerca ancora una volta “lu facceletton” per buttarlo addosso a quello che resta della “gallina mobile”. Il volatile non vedendo dove sta andando, sbatte contro tutto ciò che è lì vicino: sedie, tavolo, stufetta elettrica (per chi ce l’aveva), entra ed esce dal  camino, contro la macchina per cucire, entra “int lu vrascer” e poi ne esce, sta per uscire dalla casa ma la rete la blocca all’ultimo momento.  

La gallina ha perso la testa e gira e rigira, poi si ferma. L’assassinio è stato compiuto. La donna è soddisfatta, il ragazzino è tutto sudato (“e ha cagnat chelor”), la gallina ha finito di soffrire (soprattutto!!) Si recupera quello che resta della gallina e viene buttato nella pentola con l’acqua bollente, e poco dopo viene “spennata”. Viene denudata di tutta la sua dignità. Come fanno in Oriente con tanti altri animali… 

Una volta si faceva così, adesso non so…        

 

Mario Ciro Ciavarella Aurelio