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Marisa Giuliani

San Marco in Lamis, giovedì 18 febbraio 2021 -  Cosa si nasconde dietro tanta popolarità? Un ricettario alla portata di tutti arrivato alla novantesima edizione.  Pensare a questa rubrica ad uso e consumo di chi voglia anche sperimentare le ricette che propongo, mi ha posta davanti alla consapevolezza secondo la quale potessi essere la tentazione in questo periodo quaresimale. Che si voglia o meno rispettare le restrizioni quaresimali per fede o per tradizione, consiglio ai non credenti di cercare di purificare il proprio corpo da eventuali eccessi ai quali durante l’anno il nostro corpo può essere sottoposto, magari scegliendo proprio questo stesso periodo.

Quale poteva essere il modo migliore per continuare a raccontarvi di gastronomia attraverso le arti, senza farvi cadere in tentazione? Il viaggio che intraprendiamo quest’oggi può essere considerato la Genesi della gastronomia, siamo nell’Italia del l’800, con la nascita di ciò che per gli addetti ai lavori viene considerata la bibbia del food. Per qualcuno può essere démodé, per me invece continua ad essere grande fonte di ispirazione e per questo vi parlerò di Pellegrino Artusi e del suo libro: la scienza in cucina, l’arte di saper mangiar bene.

Romagnolo di nascita fiorentino di adozione, Artusi iniziò a scrivere appunti di ricette di piatti fatti in casa, al ristorante, da amici e nelle botteghe e dopo tanti anni decise di pubblicarle. Strade sbarrate inizialmente nonostante gli editori trovassero di gran gusto le ricette realizzate ma molto restii alla pubblicazione perché Artusi non era uno chef. A tal proposito egli stesso spiegò ad un editore che probabilmente un testo scritto da uno chef poteva essere incomprensibile, mentre “con questo manuale pratico basta si sappia tenere un mestolo in mano”. E visto che la storia si ripete, ieri come oggi, Artusi decise di pubblicare il libro a proprie spese con più di 400 ricette, vendendo personalmente le copie.
 
Terminata la prima edizione, ne produsse una nuova ristampa e ancora e ancora. Il libro iniziò ad arricchirsi di ulteriori ricette anche da quelle suggerite dai lettori stessi. Quando morì nel 1911, si era arrivati alla diciassettesima edizione. Visto il successo, le case editrici iniziarono a stampare il manuale, come si fa tutt’oggi con la novantesima edizione. Quella che ho in libreria risale agli anni 90 ma ho avuto occasione di toccare (indossando guanti bianchi) un’edizione degli anni ’20. La ricetta che segue viene dall’edizione che ho io (aggiungo anche il testo originale), potete prepararla in questi giorni di quaresima, così come suggerisce Artusi stesso, scrivendo il Menù di Quaresima. Io l’ho già fatta, aspetto di vedere la vostra versione.
 
Ingredienti
 
 
 
 
Per la farcia:
  • 300 gr ceci
  • 8 castagne secche
  • 1 pizzico di sale
  • 80 gr zucchero
  • 2 cucchiaini di cannella in polvere
 
Per la pasta:
  • 270 grammi di farina
  • 20 grammi burro
  • 15 grammi di zucchero
  • 1 uovo
  • un pizzico di sale
  • marsala o vino bianco (3 cucchiai circa)
  • olio di arachide per friggere
 
Istruzioni
 
Prepariamo prima la farcia mettendo a mollo la sera prima i ceci e le castagne secche in pentole separate. Al mattino sciacquiamo e cuciniamo insieme i ceci e le castagne. Al termine della cottura mettiamoli in un mixer e li frulliamo fino ad ottenere un pasto cremoso, si può usare un passaverdura. a questo punto aggiungiamo lo zucchero e il pizzico di sale. Questo punto possiamo unire dei canditi e della mostarda che non ho riportato negli ingredienti perché non piacciono a chi doveva poi mangiarli a casa mia, se volete li potete aggiungere. Aggiungiamo la cannella e mescoliamo da far amalgamare il tutto e teniamo da parte. Passiamo ora all’impasto, su una spianatoia mettiamo la farina a fontana come quando facciamo la pasta fresca, aggiungiamo il burro morbido, lo zucchero e l’uovo. Impastiamo possiamo aggiungere del Marsala o vino bianco. Dopo aver creato una palla avvolgiamo l’impasto nella pellicola e lasciamola riposare per un’ora. Stendiamo l’impasto con un mattarello fino ad ottenere una sfoglia sottile e ricaviamo dei cerchi con il coppa pasta o un bicchiere fino a terminare tutto l’impasto. Su ogni cerchio creato mettiamo un cucchiaio della farcia preparata in precedenza, bagniamo con un po’ di acqua i bordi dei cerchi e ripieghiamo a metà, sigilliamo premendo sui bordi. Teniamoli su un vassoio coperti da uno strofinaccio man mano che li prepariamo. Friggiamo in padella con abbondante olio lasciandoli dorati da entrambi i lati, li scoliamo e li serviamo spolverizzandoli con zucchero a velo.
 
 
 
 
 
Testo originale
 
Ceci secchi (dico secchi perché in Toscana si vendono rammolliti nell’acqua del baccalà), grammi 300.
Metteteli in molle la sera nell’acqua fresca e la mattina unite ai medesimi 7 o 8 marroni secchi e poneteli al fuoco con acqua ugualmente fresca entro a una pentola di terra con grammi 3 di carbonato di soda legato in una pezzettina. Questo il popolo lo chiama il segreto e serve a facilitare la cottura dei ceci. [….] Cotti che siano, levateli asciutti e passateli per istaccio caldi, bollenti, insieme coi marroni; e se, nonostante il segreto o la rannata, fossero rimasti duri per la qualità dell’acqua, pestateli nel mortaio.
Quando li avrete passati, conditeli ed aggraziateli con un pizzico di sale, con sapa nella quantità necessaria a rendere il composto alquanto morbido, mezzo vasetto di mostarda di Savignano, o di quella descritta al n.788 (una mostarda di uva), grammi 40 di candito a piccoli pezzettini, un poco di zucchero, se la sapa non li avesse indolciti abbastanza, e due cucchiaini di cannella pesta.
In difetto di cavalli, si cerca di far trottare gli asini, si va alla busca di compensi; e in questo caso, se vi mancassero la sapa e la mostarda (la migliore al mio gusto è quella di Savignano in Romagna), si supplisce alla prima con grammi 80 di zucchero e alla seconda con grammi 7 di senapa in polvere sciolta nell’acqua calda degli stessi ceci.
Ora passiamo alla pasta per chiuderli, in merito alla quale potete servirvi di quella de’ Cenci n.595, metà dose di detta ricetta, oppure della seguente:
  • Farina, grammi 270.
  • Burro, grammi 20.
  • Zucchero, grammi 15.
  • Uova, n.1.
  • Vino bianco, o marsala, cucchiaiate n. 3 circa.
  • Sale, un pizzico.
Tiratene una sfoglia della grossezza di mezzo scudo all’incirca e tagliatela collo stampo rotondo smerlato del n. 614. Fate che nei dischi il ripieno abbondi ed avrete, riunendone i lembi, i tortelli in forma di un quarto di luna. Friggeteli nel lardo o nell’olio e quando non sono più a bollore spolverizzateli di zucchero a velo. Colla broda de’ ceci potete fare una zuppa o cuocervi, come si usa in Toscana, le strisce di pasta comperata. Questi tortelli riescono così buoni che nessuno saprà indovinare se sono di ceci»
 
Il ricettario dell’Artusi ha la sua particolarità di parlare di gastronomia non soltanto elencando gli ingredienti ma raccontando aneddoti, educando il lettore con i consigli sull’economia domestica, quindi il risparmio ed una giusta alimentazione, come dice la copertina dell’edizione del 1891: Igiene -Economia -Buon gusto. Molte delle ricette sono realizzate con gli avanzi, votato alla politica del ‘niente sprechi’, e probabilmente fu proprio questo il successo del ricettario, con il quale ogni giorno le donne potevano mettere in tavola pietanze gustose anche con poche risorse. Artusi racconta la gastronomia italiana parlando esclusivamente in lingua italiana, da nord a sud della penisola, menù delle feste, dei giorni comandati nel rispetto della tradizione. Penso che in tutte le case degli italiani un manuale dell’Artusi è un classico da tenere in libreria, attraverso le ricette scopriamo tutte le regioni d’Italia, con tutta probabilità è così che è nata la gastronomia italiana.