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Antonio Del Vecchio

San Marco in Lamis, sabato 24 aprile 2021 -  Festa in tono minore quella in onore dell’omonimo Santo Patrono Marco, a San Marco in Lamis. E questo per via della pandemia in atto e delle conseguenti limitazioni imposte dall’apposito decreto per la zone rosse. E la Puglia, com’è noto, lo è a pieno regime da alcune settimane. Pertanto, la manifestazione in menzione sarà caratterizzata solo da eventi religiosi, peraltro limitati ad una partecipazione estremamente ridotta.

In sintonia, l’apposito Comitato feste, in collaborazione con l’Amministrazione locale, diretta dal sindaco Michele Merla fa sapere che tra le limitazioni previste rientra anche quella riguardante l’attribuzione del premio annuale, intitolato “Segno della Speranza”, che non dovrebbe assegnarsi ad un solo cittadino, ma includendo – a quanto si evince in un apposito scritto – anche “ogni singolo cittadino che nel suo fare quotidiano, lavorativo, familiare o sociale, si sia speso per essere seme di speranza per tutta la comunità”. In altri termini a tutti coloro che durante quest’anno di sofferenza abbiano agito in ogni campo per portare in alto con la propria opera, passione e solidarietà “il nome, l’eccellenza, e tradizione della nostra città” in Italia e nel mondo intero. Staremo a vedere!

Tra l’altro non ci sarà neppure l’apposita Fiera, la più antica del Promontorio, resa famosa per via della compravendita degli animali che qui arrivavano da ogni parte. Fiera, quest’ultima, andata in disuso con l’avvento dell’era consumistica o perché inghiottita dall’ascesa di quella di San Matteo (21 Settembre), il cui culto è cresciuto notevolmente per via del vicino Convento, originariamente feudo benedettino e poi, dal Cinquecento in poi, gestito dai Frati Francescani e trasformato in Santuario assai venerato dai pellegrini di passaggio diretto sino a tutto il secolo XIX a San Michele Arcangelo in Monte Sant’Angelo e da mezzo secolo alla tomba di Padre Pio in San Giovanni Rotondo. C’è di più. Il nucleo originario del paese era denominato San Giovanni in Lamis, lo stesso nome dell’Abbazia benedettina (oggi San Matteo) che per diversi secoli dominò larga parte del Promontorio. Solo più tardi si affermerà quello di San Marco, ossia il Patrono di Venezia.

Ed è proprio con la città lagunare, secondo alcuni ricercatori, che la nostra città avrebbe delle similitudini di fondo. Vediamo quali. In primis, c’è la toponomastica. Infatti, l’arteria principale che va da Piazza Madonna delle Grazie, ufficialmente denominata Via Roma, è popolarmente detta anche ‘Strada del Ponte’, a significare la sua antica funzione. Nei tempi passati costituiva, infatti, l’unico passaggio di ingresso alla cittadina, attraversata dal sottostante torrente Jana, oggi interrato e conosciuto dal popolo minuto come Canalone o Canale Grande, con similitudine a quello più famoso della città lagunare, con la quale condivide non solo la ‘Palude’, ma anche il Santo Patrono San Marco e lo stesso stemma comunale e forse anche l’origine.

Secondo una leggenda, sarebbero stati i mercanti della laguna a portare il culto del Santo e ad incrementare il nucleo originario dei residenti, inizialmente costituito da alcuni fuggiaschi di Arpi. Il tutto è confermato da una recente scoperta ossia la “certificazione” storica di una delle due campane issate sul campanile della Chiesa “Madonna delle Grazie”, quella firmata “magister Manfredinus me fecit”, di cui si è già scritto altre volte con dovizia di particolari. Si è appreso, infatti, che tale artista - fonditore ha operato nella città lagunare tra il 1280 e il 1321.

La situazione si ripete nella vicina Via Lungo Jana, dove ha sede il mercato ittico comunale. Si spiega così il perché la storia della cittadina si intreccia e confonde per lungo tempo con quella del santuario di San Matteo Apostolo, di cui conserva incorporati nell’altare maggiore del Santuario alcuni significativi reperti. La parte più antica del suo centro storico viene denominato “Padula”, ovvero palude, che fa rima con “in lamis” del suo nome latino, appunto sorto sulle paludi.

Non a caso la parte bassa della città è costellata di pozzi di acqua sorgiva , un tempo assai attivi per dissetare i suoi abitanti, ora in gran parte in disuso e quasi tutti interrati. Infine, il ‘negativo’ si riflette anche sul fronte dell’anniversario della Liberazione: non più comizi, ma solo musica a distanza col patriottico ed avvertito sottofondo di “Bella ciao!”, ormai diventato da tempo inno nazionale al pari dell’intramontabile “Fratelli d’Italia”.