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Antonio Daniele

San Marco in Lamis, lunedì 17 maggio 2021  - Nella domenica dell’Ascensione, la Chiesa ci fa riflettere da 55 anni sul tema delle comunicazioni sociali. Non è la giornata per ricordarci dei giornalisti e della salute dei mezzi di comunicazioni. È la giornata in cui tutti, professionisti e fruitori della comunicazione, riflettono su come oggi viene raccontata una notizia e come essa sia sempre al servizio della verità. Negli ultimi decenni si parla di guerra comunicativa.

Soprattutto con l’era dei social e la sua facile fruizione, senza meccanismi di verifica o filtri, è facile raccontare una verità parziale, facendola passare per la verità, al solo scopo di indurre le persone a pensarla in una certa maniera. La Chiesa è sempre stata attenta alle comunicazioni. Lo stesso Vangelo è la Buona Notizia. Uno dei primi documenti del Concilio Vaticano II è stato Inter Mirifica dedicato proprio alle comunicazioni sociali. Comunicare partendo da ciò che si vede è lo scopo e la vocazione di ogni giornalista. Comunicare raccontando l’emozione dell’evento vissuto. Comunicare senza la pretesa di indirizzare una formulazione di pensiero, ma dando elementi sufficienti a creare un pensiero libero.

Raccontare i fatti, non distorcere la realtà. Papa Francesco più volte ha raccomandato a non fare giornalismo da salotto. Giornali fotocopia. Comunicare solo per spaccio di agenzia. Si comunica partendo da quello che si vede. Consumando le suole delle proprie scarpe nelle strade del mondo per andare e vedere. Incontrando le persone, ascoltando la loro voce, senza il rischio di rimanere spettatori esterni: “Nella comunicazione nulla può mai completamente sostituire il vedere di persona. Alcune cose si possono imparare solo facendone esperienza.

Non si comunica, infatti, solo con le parole, ma con gli occhi, con il tono della voce, con i gesti”. Appena scoppiata la pandemia, il variegato mondo delle parrocchie, delle associazioni e movimenti ecclesiali, hanno sviluppato una rete di comunicazione che ha tenuto unita la comunità. Abbiamo imparato a usare gli strumenti del mestiere. Abbiamo perfezionato il nostro modo di comunicare, facendolo diventare più attraente. Ma tutto questo non può e non deve sostituire l’incontro personale: “La parola è efficace solo se si “vede”, solo se ti coinvolge in un’esperienza, in un dialogo. Per questo motivo il “vieni e vedi” era ed è essenziale”. La sfida che ci attende per i prossimi anni, dopo aver vissuto l’esperienza della pandemia, è quella di comunicare incontrando le persone, nella loro storia, là dove sono.


                                                                                                     Antonio Daniele