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Antonio Del Vecchio

Rignano Garganico, venerdì 25 novembre 2016 - Alla fine degli anni ’50, con l’avvento della società dei consumi e il conseguente miglioramento della qualità dell’esistenza, il reddito agricolo, come pure quello dei restanti settori produttivi, non basta più ad assicurare ai Rignanesi un tenore di vita all’altezza del tempo e della moda. Per cui riprende impetuoso il flusso emigratorio, interrotto dalla Seconda Guerra mondiale, questa volta diretto non solo verso i Paesi europei più industrializzati (Francia Belgio e Germania)...

 ma soprattutto verso il Nord Italia, con la fondazione di numerose colonie di Rignanesi a Torino (Fiat), a Milano e in misura minore a Roma e a Bologna e il resto in altre città. Sono gli anni del cosiddetto “boom” economico, celebrati in varie salse ed intenti nel Cinema, nella Letteratura, nella Musica e nell’arte in genere. Da Rignano Garganico partirono con la mitica valigia di cartone, oltre a famiglie intere, anche dei single. Di solito erano i primogeniti, maschi o femmine, a fare da apripista. Tra questi c’erano anche Vito ed Antonio.

Il primo, 17 anni, con un breve e variegato passato di apprendista; l’altro, 24 anni, studente universitario a “tempo perso” in Lettere Moderne, ossia si recava in sede solo quando aveva i soldi per pagarsi il viaggio – soggiorno e sostenere qualche esame. Entrambi erano accomunati da due insopprimibili passioni, quella per le donne, e l’altra di farsi ad ogni costo da sé, col proposito di richiamare in seguito il resto della famiglia originaria. La sera prima della partenza, con destinazione Bresso (MI), i due si diedero alla pazza gioia, ‘consumando’ nell’abitazione del più piccolo una lunga e partecipata serata da ballo. C’erano persino degli amici forestieri. Preso il treno a Foggia, ovviamente affollato al massimo, e dopo un faticoso e lungo viaggio, sbarcarono alla Stazione Centrale di Milano. In un baleno furono presso la sottostante fermata del bus, il “38”, con corsa ogni 10 minuti.

Ma Vito non lo sapeva. Per cui non appena ne sopraggiunse uno , salì sul predellino col suo bagaglio e di là cominciò a chiamare, anzi ad urlare, invitando il compagno a raggiungerlo. Quest’ultimo, fece finta di niente e raggiunse il luogo lemme lemme. Intanto, l’autista dell’automezzo pubblico, per evitare una possibile disgrazia, aveva obbligato il giovane a scendere. Così si prese il bus successivo ed in un baleno furono a Bresso. Qui, ad attenderli in Via Verdi c’era l’amico ‘Antoniuccio’, che li accompagnò subito da un proprietario di uno stabile vicino, che gli fece vedere l’alloggio da affittare. Si trattava di un polveroso ed angusto sottotetto. Si trattò subito il prezzo dell’affitto. Dopo di che i giovani rimasero soli con tutti i ‘grattacapi’, di cui si dirà.

Primo fra tutti quello della corrente elettrica, Nessuno disse loro che il voltaggio era basso. Per cui quando attaccarono alla presa il fornello. Ci vollero quasi tre ore per cucinare, anzi ammorbidire, gli spaghetti, diventati una vera e propria colla. Fungeva da tavolo un baule, che avevano coperto con una tovaglia portata dal Sud (sarà il tavolo da pranzo per più di un anno (vedi foto). Dopo aver pranzato, provvidero ai letti: due brandine con materasso. Erano entrambi coperti da una coltre impolverata fino alle “ossa”. Schifati la presero con due dita e l’accantonarono all’angolo più remoto.

Il bello si presentò durante la notte. Subentrò un freddo tremendo (nonostante la fine di agosto) che faceva battere i denti ad entrambi. Ad un certo punto Antonio si alzò, prese la coperta impolverata e si coprì. Vito ne seguì immediatamente l’esempio e così trascorsero felici e contenti la loro prima notte di terroni o immigrati che dir si voglia a Milano e dintorni.