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Antonio Del Vecchio

San Marco in Lamis, sabato 29 aprile 2017 - Ieri festa grande in casa della famiglia Di Claudio, a Rignano Garganico. Lo è stata per  il 50° anniversario del matrimonio dei  coniugi Matteo (classe 1939), già bidello scolastico ed Arcangela Lurdo (1941), casalinga. Evento, quest’ultimo, festeggiato in pompa magna sia sul piano religioso che civile. Il riferimento è alla Santa Messa ‘cantata’ di ringraziamento, officiata nella Chiesa Madre dell’Assunta dal parroco don Santino, che ha dedicato agli sposi una avvertita omelia ispirata al Vangelo del giorno.

 Per ciò che concerne il ‘civile’ si è cominciato sin dal primo mattina, addobbando a festa con fiori ed altri ornamenti la loro abitazione sita in Via Foscolo 4 nel cuore del popoloso quartiere di San Rocco, dove la notizia ha fatto il ‘giro’, richiamando a casa loro per gli auguri una moltitudine di amici e curiosi . Dopo di che una folta comitiva di essi, con in testa i festeggiati ha raggiunto l’Hotel Garden di San Giovanni Rotondo, diretto dal valente Chef Matteo Quitadamo, che ha messo in tavola i  piatti di pesce tra i migliori del suo ricco repertorio gastronomico. Ovviamente, prima di sedersi, sposi ed invitati hanno avuto modo di posare per la foto ricordo. Ora ecco, in sintesi la loro significante e significativa ‘storia’ di amore e di coppia. Entrambi figli di guerra  hanno vissuto un’ infanzia alquanto travagliata.

Lui, perché figlio unico ed orfano di guerra sin da tenera età (il papà Luigi era disperso in Egeo nel settembre 1943). Lei, quinta di ben otto figli. Abitavano nel cuore del centro storico di origine e fattura medievale. Le loro abitazioni, situate  l’una di fronte all’altro, erano ubicate in uno spiazzo dove confluiva Via Grotta e Via Gelso, dove si affacciavano una miriadi di usci e finestrelle.  Per cui la fatidica scintilla d’amore scoppiò subito tra di loro, prima in forma di simpatia e poi via via, quando travalicò l’adolescenza, si tramutò in ardente passione. Si guardavano a vista sin dal primo mattino e poi a tarda ora, quando lui rincasava  per andare a letto.

Con gli occhi si capivano e si dicevano di tutto, riuscendo ad esprimere persino i sentimenti più riposti di gioia, di rabbia e quant’altro. Talvolta, quando insorgeva un contrasto o qualche spunto di gelosia, l’uno o l’altra spegnevano la luce e continuavano  a scrutarsi celati dietro la vetrina dell’uscio. A casa di lui si ballava quasi ogni sera, in quanto era l’unico luogo del quartiere a quel tempo a tenere un giradischi a corrente. Ma lei quasi sempre era costretta ad assentarsi, per non far insospettire  i genitori del loro sentimento. Lui si arrabbiava e spesso lasciava la festa di casa per andare a sfogarsi altrove. I primi balli che impararono furono tango, valzer, mazurca e foxtrot. Oltre a guardarsi, comunicavano anche con i bigliettini o tramite amiche o amici messaggeri.

Quando diventarono più grandi e il loro amore si manifestò più palese, il rapporto migliorò, ma di poco, perché la formalizzazione  del fidanzamento ufficiale avrà luogo più vicino al matrimonio, con la cosiddetta ‘Trasute’ (entrata). Poi c’erano i pegni d’amore, costituiti da qualche anello d’oro, bracciale e talvolta da una sciarpa o maglia. Altre volte ancora a svolgere la medesima funzione erano i dischi di cantanti e canzoni alla moda. Un giorno, a maggio inoltrato, Matteo chiamò il cugino Tonino e assieme si accompagnarono a piedi fino ad un loro fondo che si trovava a circa quattro chilometri dal paese. E questo col fine di  cogliere le ciliegie.

Dopo essere arrivati, salirono  su un albero e pensarono bene  di fare prima una doverosa scorpacciata e poi a riempire il ‘comodo’ da portare in paese. E così fecero. Ma ad un certo punto. Matteo si riscosse dai suoi pensieri e disse: “Tonì, cerca tu di fare la scorta, io vado a San Marco a comprare il disco di Lazzarella”, canzone napoletana in voga nel 1957, cantata da Aurelio Ferro. Lo doveva regalare o meglio farlo ascoltare alla sua ‘Celina’. “Ma fai piano – aggiunse Matteo - tanto tra andata e ritorno ci metterò quasi tre ore, ahi voglia che lo riempirai!”. Ma non fu così. Al  ritorno, il canestro era ancora mezzo vuoto, perché  Tonino, senza alcun pensiero per il prossimo, aveva continuato comodamente a ‘scorpacciarsi’. Così Matteo, costretto a riprendere l’opera usata, in poco tempo riempì il ‘comodo’ e tornarono a casa. 

La ‘Trasute’ tra Matteo e Celina, si celebrò moltissimi anni dopo questo, e solo, a conclusione del ‘parentado’. Precisamente ciò accadde nel dicembre del 1966. Il 27 aprile dell’anno successivo seguì, invece, il matrimonio. Andarono ad abitare alla casa ‘nova’ ovvero a quella attuale, citata all’inizio. Lo fecero assieme alla madre di lui, Giuseppina. Quest’ultima, saputo che la nuora era rimasta incinta, implorò di non chiamare l’eventuale nascitura con il proprio nome. Così non avverrà, perché la bambina nacque l’anno successivo proprio il giorno di San Giuseppe. Ora la bambina è donna matura ed ha già due bellissime signorine, Donatella e Mattia.

Intanto, negli anni a venire, la famiglia s’ingrandì con la nascita prima di Luigi e poi di Maria Teresa, entrambi sposati. A questo punto non ci resta,  come redazione di questo giornale, che porgere i nostri più fervidi ed avvertiti auguri per una vita di coppia serena e felice per tanti altri decenni e decenni ancora.