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Antonio Del Vecchio

Rignano Garganico, sabato 8 luglio 2017 - Alla ricerca di un marchio ‘made nostrano’ per alcuni prodotti orticoli di qualità, nella ricca e fertile piana di Rignano Garganico. Ad esserne fermamente intenzionate sono alcune imprese da anni impegnati sul fronte della sperimentazione, produzione e trasformazione  orticola di qualità.  Tra questi, oltre ai broccoletti, agli asparagi, ai finocchi, si sono aggiunti da qualche anno anche i ceci, un legume ‘antico’ dalle molteplici qualità nutritive e terapeutiche, non ultime quelle proteiche. Non a caso in passato, quando i prodotti d’origine zootecnica scarseggiavano, era considerata una sorta di ‘carne dei poveri’.

 Così che tra breve nella piana sottostante non vedremo solo le antiestetiche pale eoliche, ma anche estense zone coltivate a ceci, a fianco a quelle razionalmente coltivate a grano duro, granturco, orzo ed ogni sorta  graminacea. La pianta di ceci ha bisogno, peraltro,  di poco spazio ed acqua per crescere e svilupparsi. Per cui la vedremo spesso accompagnare oliveti, solchi di fave e quant’altro. Nei tempi andati, i ceci assieme ai fagioli e ad altri legumi, venivano coltivati soprattutto in montagna, ora del tutto abbandonata e trasformata a pascolo spontaneo per migliaia e migliaia di animali di piccola e grossa taglia, specie del tipo bovino, a stato brado.

 Si tratta di circa 4.500 ettari. Una estensione quasi pari a quella della pianura. Tenuto conto del prezzo a quintale che si aggira attorno agli 80 euro per una resa di oltre 20 quintali ad ettaro, l’idea e la prassi attirerà tantissimi investimenti, considerato il basso prezzo del grano duro che si aggira, come risaputo, attorno ai 16 euro a quintale in su. I ceci come il grano e le altre graminacee si coltiva in autunno e si raccoglie a giugno. Come per il resto anche in questo campo il passaggio della mano dell’uomo alla macchina è stato vertiginoso con l’affermazione di strumenti tecnologici sempre più perfetti, veloci e convenienti, sia sul fronte della semina, sia su quello del diserbo e della serchiatura e soprattutto su quello della mieti - trebbiatura. Ed ora un po’ di storia.

Quella dei ceci è una delle prime colture domesticate. Lo stesso  deriva da forme selvatiche del genere Cicer, probabilmente da Cicer reticulatum. Le specie selvatiche si sono originate probabilmente in Turchia, mentre le prime testimonianze archeologiche della coltivazione del cece risalgono all'età del bronzo (6 o 7 mila anni fa). Quindi i ceci si diffusero in tutto il mondo antico: antico Egitto, Grecia antica, Impero romano. Non è escluso che i ceci fossero usati anche dagli antichi abitatori di Grotta Paglicci, come lo fu la farina di avena selvatica di 32 mila anni fa (Paleolitico Superiore), scoperta in tempi recenti sul bordo di un pestello siliceo, preso nel noto sito archeologico rignanese. T

utto questo se si avverasse, porterebbe vantaggi impensabili per questa terra e comunità, spopolatasi come non mai, a seguito dell’andamento demografico negativo e soprattutto della fuga dei giovani verso il Nord e l’estero. Secondo gli esperti, basterebbe un centinaio di posti in agricoltura, possibilmente pagati a tariffa e semmai a fianco o in sostituzione di alcuni immigrati, per salvare dal declino certo il paese e la sua comunità. Dunque, agricoltori, aguzziamo le vedute e rimbocchiamoci le mani, l’obiettivo è anche vostro!