Antonio Del Vecchio

Rignano Garganico, giovedì 9 maggio 2019 -  Tutti la chiamavano in paese Brigitte Bardot. Non tanto per l’altezza (m.1,60), quanto per il  suo concentrato di bellezza sexy, significato dagli occhi neri da pesce in agonia ossia languidi, dalla carnagione rosea del viso, ma soprattutto dalla bocca piccola ma procace. Così anche il petto che non era prosperoso, ma sufficiente per contenere  due irti seni, come diceva il poeta…

Ad armonizzarne ulteriormente la figura , c’erano poi  le sue fatidiche e sinuose curve sorrette da due graziose ed agili gambe. In ogni parte del suo corpo, l’ uomo ci vedeva il sesso, come d’altronde accadeva in quel tempo per la mitica attrice. Altri, ancora, la chiamavano la “capretta” per il pelo e il colore nero-lucido dei suoi capelli, che, quando erano sciolti, scendevano sino all’ombelico  E non solo. Si deve a tutto questo e all’assiduo corteggiamento dei giovani d’allora, se diventasse da subito il sex symbol del nostro gruppo ed allievi vari, testimoniato  dal consistente giro di fidanzamenti subiti. Era sempre lei a lasciarli  puntualmente. E questo non prima di  averli cotti e stracotti perbenino con i suoi fugaci petting, come si diceva  allora tra  gli studenti.

Ella faceva parte della comitiva delle ragazze povere ma belle;  un appellativo, quest’ultimo,  cucitole addosso per distinguerle da quelle ipocrite, cosiddette perbene,  solo perché praticavano la chiesa. Una volta il mio gruppo tentò pure di sdoganarle, convincendone alcune a frequentare le nostre serate da ballo. Prima una, poi due e tre, infine, quasi tutte aderirono e si divertirono un mondo. La chiesa, o meglio le tardone dell’Azione Cattolica reagirono e mandarono in giro le loro spie, per vedere quante e quali erano le nuove ‘peccatrici’, in modo da cancellarle dal sodalizio religioso. Non lo fecero, perché avrebbero azzerato del tutto la militanza, scoraggiando anche le future generazioni. Questa fu  la seconda rivoluzione.

La prima maturò, invece, l’anno precedente, con l’affermazione del passeggio di sesso opposto, a prescindere dal fidanzamento. Ci scambiammo le ragazze e  passeggiamo a coppie o insieme per tutta la serata in piazza e sulla Ripa, senza più la stretta vigilanza di genitori e parenti. D’allora, diventò una moda collettiva. Brigitte non era l’unica bella della comitiva, ma lo erano tutte. Tra l’altro, la ‘giapponesina con  gli occhi a mandorla e i lineamenti del viso stilizzati come una Madonna bizantina. La volevano tutti, ma lei non cedette mai. Anzi, l’ultimo corteggiatore che ebbe in paese, fu da lei cacciato in malo modo, recuperato poi dall’amica ruba uomini, che parecchi anni dopo lo sposerà, lasciando definitivamente  il paese per il Nord. 

Anche con Brigitte combinai. Mi disse di sì a casa della nonna, dove ella si rifugiava spesso, per sfuggire (si lamentava) alle ‘parolacce’ della madre, un tipo piuttosto focoso e gridanciaro (imporsi su qualcuno a voce alta e con epiteti vari). Quando la nonna, si distraeva  per assolvere qualche incombenza domestica, in contemporanea volavano tra noi furtivi baci e carezze ardite . Ma non bastava. Tant’è che una sera, stanchi di queste brevità, fissammo sottovoce un seguito della nostra battaglia d’amore nella scalinata del portoncino d’ingresso alla casa di mia zia, poco distante. E in pochi minuti fummo entrambe lì, a continuare il nostro approccio più decisamente, ma mai completo, E questo, in segno di rispetto verso il partner più debole e nel contempo per evitare di inguaiarci.

La pillola, allora era ancora sconosciuta tra le ragazze del popolo, così pure le altre pratiche, ritenute, peraltro,  poco sicure. Mentre eravamo al momento clou, stretti come in un corpo solo, eccoti il portone spalancarsi di botto e noi a rimetterci a posto alla meglio. La nonna si affacciò e disse “Che fate, la mamma la cerca!”. Così lei fuggì via, mentre io fui bersagliato dai rimproveri della vecchia: “Non ti vergogni, tu devi studiare, non puoi attardarti a fare queste cose. Non avete ancora l’età!” E così via di questo passo…. Non seppi mai come la nonna avesse subodorato il fatto. Successivamente vivemmo ancora altre avventure nei luoghi di appuntamento, quasi tutti posti fuori dal paese e lontani da occhi indiscreti. Uno solo si trovava dentro, quello dell’Arco della Monaca.

Una sera, essendo quest’ultimo occupato,  convenimmo di vederci allo ‘scannaggio” (mattatoio). In un attimo fummo sotto la Ripa, ma mentre stavamo mano nella mano per scendere dal ripido pendio, eccoti la voce della mamma (forse già ci aveva visto prima), che gridava a squarciagola: “Alì, Alì, Alì...!”. Noi ci bloccammo; lei si strinse a me tremante, mentre io le dicevo: “Non aver paura…tua madre  sa dove siamo. È solo un finto avviso! Non appena va via, usciremo allo scoperto!”. Non mi sbagliai. Pochi minuti dopo, il clamore cessò e  noi potemmo uscire tranquillamente allo scoperto, rimandando il petting alla sera successiva. Il feeling continuò per qualche mese abbondante, ma poi cessò del tutto per l’inizio consenziente di altre storie.

Feci una scommessa con mio cugino, che pochi giorni prima aveva lasciato la sua ex. Si chiamava Michela, ma per tutti era  ‘Candela ‘. A quel tempo abitava assieme alla madre in un sottano senza luce elettrica. Per cui di tanto in tanto era costretta a rifornirsi di candele da Rosinella, la tabaccaia; negozio dove si vendeva di tutto assieme ai prodotti di monopolio. Lo stabile  era in bella vista in  piazza, dove ci ritrovavamo spesso noi giovani, specie durante la cattiva stagione, perché era un luogo ben riparato dai venti freddi. Ed è qui che la incontrai e la convinsi subito a darmi il suo sì, illudendola su  un futuro assieme  piuttosto  roseo sul piano economico  e della professione. Al momento, ella faceva l’apprendista di taglio e  cucito. Ne fu convinta e ci mettemmo assieme.

Per dimostrare al mio parente che lo scopo della scommessa era stato raggiunto, le diedi appuntamento per la sera successiva alla Ripa, luogo di passeggio comune. Così il “San Tommaso” vide e si convinse finalmente della proverbiale mobilità sentimentale al femminile, ben descritta con parole e musiche dal grande Verdi. La ‘tresca’ durò pochi giorni. A stroncarla , non appena seppe o se ne accorse,  ci pensò la “Regina”, ormai fissata sul fatto che doveva essere solo lei l’unica mia donna. Contribuì, comunque, anche un altro fattore strano. L’ultima sera ci demmo appuntamento alle mura. Il tempo era piuttosto uggioso e freddo e il vento spirante da Nord cominciava ad imperversare a ritmo crescente. Gli usci delle case vicine erano tutti ben serrati, così pure finestre e balconi.

Non ci speravo proprio che la donna venisse. Intanto, chiuso nel mio impermeabile col cappuccio in testa ben fissato,  mi stringevo sempre più al muro per non essere sbattuto lontano dalle raffiche. Ad un tratto arrivò lei tutta trafelata: “Facciamo presto, perché la mamma ha freddo  e devo preparare il braciere per la notte”. Ci stringemmo, ma rimanemmo come impietriti, soprattutto io che pure in queste occasioni ero sempre il primo a surriscaldarmi. Lei cercò di rincuorarmi, bacio dopo bacio. Ma niente. A questo punto, ci lasciammo, rimandando ogni cosa a un momento migliore. Momento che, come accennato, da quella sera in poi non si materializzerà più.

Lei, poi, si convinse, che non c’era destino e provò con altri sino al matrimonio, pienamente riuscito e ben saldo. Anni dopo la rincontrai qualche volta per strada. Cercai di guardarla con interesse, salutandola, ma provai solo un sentimento di compassione per la sua storia di vita in campagna. Storia che non brillò mai di grandi e forti emozioni, come io l’avevo predetta. Lei,  di questo mio sotterraneo pensiero non si dispiacque, anzi mi rivolse un sorriso appena abbozzato con le sue labbra sottili, facendomi  intravedere  i suoi denti bianchi ancora sani. E , quasi sfidandomi, cercò di dirmi: come vedi, con te o senza di te ho messo su casa ed ho un marito buono che mi vuole un mondo di  bene, nonché una prole variegata in quantità e bellezza, che presto mi darà i frutti desiderati della discendenza.

Ma non dirà mai che è felice. Di questo e di più lo sperimentai nella mia auto, allorché una volta le diedi un passaggio verso la città. Restammo in silenzio per tutto il viaggio. Al termine a malapena ci scambiammo un biascicato  ‘arrivederci!’.