Antonio Del Vecchio

Rignano garganico, martedì 20 ottobre 2015 - Due notti fa è venuto a mancare Peppino Resta, volto noto e beneamato a Rignano, per via del suo rinomato ed antico mestiere: il panettiere. Da un decennio era andato in pensione, lasciando la gestione dell’attività ai figli Giovanni e Luciano. Ma non per questo si era disinteressato del tutto.  Infatti, ad ogni pie’ sospinto, unitamente alla sua inseparabile moglie, si metteva in auto e si prodigava a rifornire del prezioso ed indispensabile alimento le masserie della sottostante  piana.

 Altre volte, ambedue aiutavano i congiunti, specie nelle giornate di maggiore movimento, assolvendo  servizi vari all’interno del “forno”. Comunque sia, è con le sue parole che vogliamo ricordare la sua figura. Si tratta di un racconto-intervista rilasciatoci e pubblicato sul numero di agosto 2006 di  “Araiani”, quando egli aveva appena 71 anni. Ecco lo scritto: <<Avevo ventidue anni, quando lasciai Rignano, per emigrare in Germania, in cerca di fortuna e di lavoro. In verità, il primo obiettivo era incerto, il secondo quasi sicuro, perché avevo in tasca un contratto bello e fatto con una ditta che operava nel campo dell’edilizia e dei lavori stradali, a patto che di lì a qualche giorno superassi positivamente la prevista visita medica in quel di Verona.

Era una mattinata di Luglio che si preannunciava calda ed afosa, quella della mia partenza. Mi sentivo assai triste e confuso, perché ero costretto a congelare non so per quanto tempo tutti i miei affetti., la mia giovane moglie e il figlioletto Giovanni, che aveva appena un mese e mezzo, i miei genitori ancora attivi, i miei fratelli e tutti gli altri amici e parenti. Con una macchina, messa a disposizione di un amico, raggiunsi Foggia e mi infilai nel terno stipato di tanti altri giovani operai. Mentre io tenevo un groppo alla gola e avevo tanta voglia di piangere. I miei compagni di viaggio, al contrario, sprizzavano gioia, perché dicevano: “In Germania si guadagna bene e presto diventeremo ricchi!”.

Una illusione la loro, perché ci aspettavano tanti sacrifici e patimenti da sopportare per mettere da parte qualche soldo. Tuttavia, presto  l’entusiasmo contaminò anche me e la mia aria triste sparì. Durante il viaggio ci divertimmo a scambiarci cortesie e feci subito amici8zia con tutto lo scompartimento. A Verona restammo due giorni, per le visite. Il terzo giorno riprendemmo la marcia in treno verso il nostro destino. Dodici ore dopo con le nostre valigie legate con lo spago scendemmo alla stazione di Stoccarda e lì ci venne a prelevare un capo squadra tedesco, che ci portò subito ai nostri ricoveri. Il giorno dopo cominciai il mio lavoro di manovale ad un “baustelle” vicino. Si stava costruendo una nuova strada urbana. Il venerdì successivo presi la mia prima paga settimanale. Si trattava di un bel po’ di marchi. Con questi soldi – mi dissero i compagni -  puoi mangiare per più di un mese”. Lo dicevano per farmi rendere conto che la paga era buona. Il sabato rimasi solo in baracca. Tutti gli altri erano andati a divertirsi. Io pensavo, invece, alla famiglia che dovevo mantenere e soprattutto al risparmio che dovevo accumulare, per realizzare un avvenire migliore in Italia.

Così accadde la settimana successiva e tante altre ancora. Intanto, quando andavo a fare la spesa, cominciavo ad apprendere qualche parola di tedesco. Comunque, occorreranno anni, per imparare a comprendere e a farmi comprendere. Nei mesi invernali tornai in Italia, per riprendere il lavoro a marzo. Seguitai così per tutti gli anni a venire. Cioè a mettere i soldi da parte e poi ad inviare il tutto, tramite vaglia postale, alla mia famiglia. Il cambio era tutto a nostro vantaggio. Mia moglie provvedeva, dopo aver messo da parte il necessario peri vivere, a depositare mensilmente il resto della rimessa sul libretto postale. Alla fine del 1966 feci ritorno definitivamente in Italia.

Qualche mese dopo decidemmo assieme a mio fratello Luigi, che non c’è più, a mettere su un forno. Quella della panificazione era un’attività che mi aveva sempre incuriosito ed affascinato durante la mia fanciullezza. La mamma, alle prime ore dell’alba, dopo aver ammassato a colpi di pugni la pasta nella “fazzatora” (madia) la metteva a crescere sotto le coperte di lana. Dopo qualche ora la “resinava”, cioè componeva una serie di pagnotte di varia grandezza (quelle più grandi pesavano dai cinque chili in su) e quindi venivano prelevate e portate al forno di Antoniella Parracino, a quello di Partipilo o a quello dei Longo per la cottura. Prima del pane si faceva  e si cuoceva la pizza, che ben cotta e fragrante giungeva nelle case pochi minuti dopo,

attesa e gustata da noi bambini, rendendoci così “dolce” il viatico verso la scuola. Ecco perché sin dall’inizio accettai con grande piacere di fare questa nuova attività. Il nostro era un forno nuovo di zecca e il suo riscaldamento  alimentato, come lo è tuttora. Con la sansa, legna e qualche volta anche facendo ricorso all’energia elettrica. Nei primi tempi, ci avvalemmo di due panificatori sammarchesi. Ma presto imparammo anche noi e forse più di loro, rendendoci autonomi. Per circa due anni tentammo di piazzare il pane a Foggia. Fu un successo. Il nostro prodotto andava a ruba. Successivamente il rapporto con i negozianti diventò pessimo, perché essi pretendevano di svendere la merce a metà prezzo. Cosa non convincente, né conveniente. Abbandonammo tutto e ci arrangiammo a vendere soltanto sul posto. Intanto, mio fratello Luigi aveva messo su accanto al forno una pizzeria, la cui eco positiva permane ancora oggi.

Nel 1995 abbandonai l’attività, per ragioni di pensionamento, trasferendo onore ed onere ai miei figli Giovanni e Luciano. Da allora si rinnovò e nacque il forno “F.lli Resta”, ma non il soprannome che restò lo stesso: “il forno di Battistone”, affibbiato a suo tempo a mio padre Giovanni battista per via della sua imponenza fisica, nomignolo che resiset ancora. I miei figli si industriarono, ispirandosi alla tradizione, così che allargò la produzione ad altre specie buone della cucina locale. Il riferimento è alle tipiche pizze paesane, ai dolci di Pasqua e a quelli di Natale, noti in tutto il comprensorio, come i calzoni con le cipolle “spunsale” (novelle), la pizza con il pomodoro, quella all’origano, la sfoglia a cappello di prete ein campo dolciario, asgli scaldatelli, ai taralli, ai prupate e ai tarallini canditi, alle cartellate, alle skarole, agli gnocchi e, per finire, alle scarpèdde, che vanno a ruba soprattutto nei periodi freddi dell’anno. Insomma, la nostra attività, oltre a far campare tutta la famiglia, ci gratifica, perché fatta di creatività, di cultura e di tradizione>>.  I funerali saranno celebrati domani, 19 ottobre, alle ore 10.00,  nella Chiesa Matrice " Maria SS. Assunta". Alla famiglia tutta  giungano, per l'incolmabile perdita,  le più avvertite condoglianze da parte della direzione e redazione di questa testata giornalistica.