Stampa 

Nicola Maria Spagnoli

Roma, lunedì 01 febbraio 2016 -  Certamente ai tempi avevo apprezzato, e non solo io, di più i primi tre album, in special modo il secondo album dei Gentle Giant Acquiring the Taste per la novità, lo strano ma efficace equilibrio fra leziosi, e deliziosi, medievalismi corali, musica classica, jazz e hard rock e le melodie, molto più semplici e poi perché fu il primo ad avere un grosso successo e quindi vasta popolarità, in Italia. Invece Octopus fu considerato da molti la summa della loro produzione e certamente è l’album che li ha fatti conoscere ed apprezzare da un più vasto pubblico, non solo italiano, ma specialmente nella loro patria ed in America.

 E’ noto che questo strano stile in bilico, potremmo azzardare, fra i Magna Carta e i King Crimson all’inizio ebbe poca fortuna in terra d’Albione mentre, come sappiamo, ebbe una grande risonanza nei Paesi mediterranei, sorte che toccò anche ai primi Genesis e ai Van Der Graf Generator. Quando il “Gigante gentile” dei tre fratelli polistrumentisti Shulman fece i primi concerti in Italia si scatenò addirittura una mania che coinvolse pubblico e musicisti e bisogna ammettere che gran parte del progressivestyle italiano deve qualcosa, principalmente, a loro.

Octopus fu un lavoro certamente più elaborato dei primi tre album ed ebbe anche un lancio, come dicevamo, oltreoceano dove stranamente non fu distribuito con la doppia copertina capolavoro di Roger Dean (foto 1) ma con un’opera affidata, forse per motivi patriottici, ad un artista americano certamente appartenente ad una famiglia di artisti ma di sicuro non all’altezza di Dean, tale Charles White (foto 2).

Ma partiamo dall’artwork per l’album di esordio, il gigante gentile, con la faccia di uno gnomo, che diventerà il logo della band, usato anche nel retro dell’artwork americano di Octopus, un disegno epocale di George Underwood, noto anche per varie altre copertine, per David Bowie, per Marc Bolan e per i Tyrannosaurus Rex, tanto per citare le più note e che rappresenta uno gnomone gigante, visto leggermente dall’alto, naturalmente dalla faccia tanto gentile che di più non si può, con nelle mani il gruppo al completo, sempre disegnato, come fosse un offerente (foto 3).

Doppio disegno anche per Acquiring the Taste, il secondo album, rappresentante una linguona, maliziosa anzichenò, che lambisce un frutto accoltellato di una certa forma (foto 4). Naturalmente Dean è artista più noto per aver illustrato buona parte di tutto il progressive rock inglese, gli Yes soprattutto, e non solo e balzato di recente agli onori della cronaca per aver intentato causa al regista James Cameron colpevole di aver usato l’idea, e le immagini pure, delle sue fungose isole volanti e non nel plurimiliardario Avatar senza versare le dovute royalty. Certo Roger Dean piuttosto che mostri marini, raramente usati, come nell’album degli Asia, era più propenso a mostri terrestri, per lo più alati, mastodonti compresi, e comunque non fu certo il solo a rappresentarli nel vasto emisfero dell’arte a partire da quella antichissima minoica per proseguire con l’etrusca e per finire in tutta la fantastic-art odierna compreso il fumetto e il cinema d’animazione.

Nei testi anche in questo disco ci si ispira un pò a Rebelais mentre per le musiche oltre al consueto mix di prog art, e a quell’intreccio di voci vertiginoso che rasenta la follia con melodie e ritmi sovrapposti, medievali ma anche ispirati ai Beach Boys, a continui tempi dispari, non si può non segnalare quel capolavoro che è The boys in the band, le mille voci presenti nel branodi Knots e poi Raconter le Troubadour che precede l’album, ancora più medievaleggiante, e quasi di fine carriera, che fu Free Hand.

                                                                                                              Nicola Maria Spagnoli

 

foto1

 

foto2

 

foto3

 

 

foto4

 

 

Video