di Luigi Ciavarella

San Marco in Lamis, lunedì 23 maggio 2016 -  " Nei suoi giri, immancabile era la visita alla barberia di Antonio Verde, in corso Matteotti, che stranamente per i suoi capelli rossicci era chiamato " il rosso ". Aveva la voce burbera e gridanciara, il linguaggio grasso dei facchini. In questa barberia angusta, miseruccia,come potevano essere quelle di paese, profumata di lavanda, stavo qualche ora seduto impressionato dai discorsi degli adulti, che nel sabato della feste, lì avevano un punto di ritrovo sicuro ed esercitavano il pubblico pettegolezzo.

 Era una novità suggestiva sentire tratteggiare il volto di un personaggio, o il commento ineffabile delle novità accadute. " Il rosso ", tra una barba e un'altra, deus ex machina di quel teatrino variopinto e multietnico ( che mescolava le razze, se cosi posso esprimermi, indigeni e cafoni, professionisti e artigiani ), suonava il mandolino e strimpellava le arie di Caruso come Furtiva lacrima o La Traviata di Verdi. Rammento - immagini che mi vengono da molto lontano, quasi dall'altro mondo - il bricco azzurrino che nel tepore della cenere assicurava l'acqua tiepida per le barbe ispide, i calendarietti di Natale, profumati di eros e borotalco, con la scandalosa Rita Haywort in copertina. " (Antonio Motta).

 Questo ritratto che Antonio Motta rivolge alla figura di Michele Verde e alla sua "botteguccia" di barbiere, situata un tempo sul corso principale del paese, è uno dei ritratti più affettuosi presenti nel libro di fresca stampa La casa di via Calvitto, racconto autobiografico che il noto scrittore di San Marco in Lamis ha voluto dedicare ai luoghi della sua infanzia attraverso la descrizione, viva e struggente, dei tanti luoghi e le numerose figure che quella strada e le zone circostanti hanno animato. Sono le ombre delle tante botteghe artigianali minuscole, piccoli anfratti in cui la laboriosa gente del paese esercitava mille attività e tanti mestieri che profumavano di dignità e che sono scomparsi man mano che il tempo e la modernità avanzavano, sino a distruggere ogni traccia della loro presenza. (leggere in tal proposito il bel libro di Michele Ceddia, Come eravamo, QS edizioni 2001)

Aggiungiamo soltanto che Michele Verde, detto il rosso per via dei suoi capelli rossicci, è stato il primo in assoluto a dare corso in paese alla costituzione di un gruppo musicale con caratteristiche simili a piccole bande di paese con capacità di allietare feste di matrimonio e banchetti per ogni occasione, con deliziosi spettacolini a base di canzoni popolari sammarchese miste napoletane e note arie di musica lirica. Ma zio rosso è noto sopratutto per aver insegnato, nella sua piccola bottega di barbiere, ad un folto numero di novelli apprendisti l'arte di suonare la chitarra e il mandolino attraverso un insegnamento forse ruvido ma efficace, costruito su accordi che avessero la scopo (e l'utilità) di accompagnare una serenata d'amore o una serata in allegra compagnia.
 
 
Insegnò sopratutto a suo figlio Michele, sia l'uso della chitarra che del pennello, rivelatosi subito uno dei talentuosi protagonisti della scena musicale di paese dapprima nel complesso iMods o Modernissimi e in seguito nei Protheus segnando, insieme a Michele Fulgaro ed altri amici sodali, un solco profondo nella storia della musica a San Marco in Lamis.

di Luigi Ciavarella
 
 
 
 
I WALTER PITET, istantanea del 1954 con (da sin.) Antonio Verde (mandolino), Matteo Vigilante (sassofono), Matteo Napolitano (batteria), Michele Fulgaro (chitarra), Matteo Petrucci (fisarmonica). Foto scattata nella barberia di zio rosso.
 
 
 
 
COMPLESSO TRE P da sin. Luigi De Carolis (sassofono), Michele Fulgaro (chitarra), Matteo Napolitano (batteria), Giuseppe Petrucci (fisarmonica) e ANTONIO VERDE (fisarmonica)_ 1953