Mario Ciro Ciavarella

San Marco in Lamis, mercoledì 18 ottobre 2017 -  Qualche mese fa scrivendo di Lucio Battisti espressi una critica in effetti un po’ troppo dura nei confronti del cantautore. Affermando, tra l’altro, che era molto limitato nel canto; purtroppo sorvolando (chiedo scusa)  completamente l’aspetto musicale nelle canzoni che hanno avuto i testi di Mogol prima, e di Panella dopo. Non voglio assolutamente fare un passo indietro di quello che scrissi, ma lo faccio di lato. E la storia mi dà ragione: Battisti non fece mai una tournèe, il perchè non lo si è mai capito; e non scrisse (come testi) nessuna canzone di rilievo.  

  Ho appena comprato “Masters”, 60 canzoni di Lucio Battisti, 4 cd realizzati con le registrazioni originali rimasterizzate direttamente da nastri analogici alla migliore definizione possibile oggi: 24bit/192KHZ.

 Questa tecnica di registrazione già fatta nel 2009 per le canzoni dei Beatles riuscendo ad ottenere un risultato più che apprezzabile: lavorare su del materiale in analogico e riversarlo in digitale non è facile. Non solo perchè le due tecniche di registrazione sono completamente diverse, ma anche  perché il tempo gioca a favore del deterioramento del materiale.

 Immaginate delle bobine che vengono lasciate dentro delle scatole per decenni, chissà in quali condizioni saranno ritrovate molto tempo dopo. Per il lavoro in oggetto devo dire che si è quasi “esagerato”, nel senso che le atmosfere musicali create da Battisti sono notevoli. Ed è su questo aspetto che voglio soffermarmi.

 I suoni e gli arrangiamenti in queste versioni “pulite” si apprezzano meglio, anche i vocalizzi di Battisti sono messi più in evidenza. E tutto questo l’ho scoperto grazie a questa compilation, “Masters”. L’impatto musicale di Battisti, prettamente musicale, è ben messo in evidenza.

 Per avere una controprova ho ripreso da uno scaffale che avevo dimenticato di avere, l’album “Anima latina” del 1974 versione  “normale”, lavoro quasi completamente musicale (un prog da solista), dove i testi sono pochissimi e le atmosfere tante, come se anticipasse la “World Music” che doveva arrivare molto dopo. Con contaminazioni di genere ben distribuite durante le lunghe canzoni.

 Il rammarico rimane quello di sempre: dal 1980 fino al 1998, quando Battisti morì, in 18 anni (e non sono pochi) non abbiamo più avuto né queste atmosfere “alla Battisti” e nemmeno i testi che vengono anche  cantati dai ragazzi di oggi. Nessuno è riuscito (o voluto) spiegarci il perché.

 Nella compilation in questione ci sono 14 canzoni del “dopo Mogol”, anche ascoltandole rimasterizzate non convincono come quelle classiche di Mogol-Battisti. E su questo c’è poco da discutere.

 

Mario Ciro Ciavarella