
Michele Centola ©redazione sanmarcoinlamis.org
Londra, mercoledì 8 ottobre 2025 - Quando nel 1975 i Pink Floyd pubblicarono il loro nono album in studio, nessuno poteva immaginare che l'immagine scelta per la copertina sarebbe diventata una delle più riconoscibili e discusse nella storia della musica rock. La fotografia che adorna il vinile di Wish You Were Here rappresenta molto più di una semplice scelta estetica: è una dichiarazione artistica che incapsula perfettamente i temi centrali dell'opera. L'immagine principale mostra due uomini d'affari che si stringono la mano in un paesaggio desertico degli studi cinematografici di Hollywood.
Il dettaglio inquietante? Uno dei due è avvolto dalle fiamme. Questa fotografia, opera di Aubrey Powell dello studio Hipgnosis, non è un effetto speciale: lo stuntman Ronnie Rondell si fece realmente incendiare per lo scatto, indossando sotto gli abiti un costume protettivo. La scena rappresenta una metafora potente dell'industria musicale: due figure apparentemente professionali che suggellano un accordo, mentre una brucia letteralmente. È un'allegoria dell'inganno, della falsità nei rapporti d'affari e del modo in cui l'industria dello spettacolo può consumare gli artisti.
Lo sfondo desertico non è casuale. Gli studi della Warner Bros a Burbank, in California, fornirono la location perfetta per trasmettere un senso di desolazione e alienazione. Il cielo piatto e monocromatico, la terra arida, l'assenza di qualsiasi elemento vitale: tutto concorre a creare un'atmosfera di vuoto esistenziale. Questa scelta visiva riflette magistralmente il concetto di assenza che permea l'intero album, un lavoro nato come riflessione sulla lontananza, sia fisica che emotiva, e sulle conseguenze del successo commerciale sulla creatività autentica. La copertina non si limita alla sola immagine frontale. Aprendo il vinile originale, l'ascoltatore scopre un universo visivo coerente: fotografie di veli neri che fluttuano nel deserto del Mojave, un subacqueo che emerge inspiegabilmente dalla sabbia, ancora il tema del nascondimento e dell'apparizione improvvisa.
Lo studio Hipgnosis, già collaboratore dei Pink Floyd per album precedenti, creò un packaging che trasforma l'ascolto in un'esperienza multisensoriale. La copertina interna nera con la semplice scritta bianca "Wish You Were Here" continua questo gioco di presenza-assenza, pieno-vuoto. Un dettaglio che molti ricordano delle prime edizioni è l'involucro esterno in cellophane blu opaco, stampato con le informazioni dell'album. Questa scelta, insolita per l'epoca, aggiungeva un ulteriore livello di separazione tra l'ascoltatore e la musica, quasi come se l'opera fosse protetta - o imprigionata - dietro una barriera traslucida. Rimuovere quel cellophane diventava un atto simbolico: rompere la superficie per accedere alla sostanza, attraversare il velo dell'apparenza commerciale per raggiungere l'autenticità artistica sottostante.
A quasi cinquant'anni dalla pubblicazione, l'immagine dell'uomo in fiamme che stringe la mano a un altro uomo d'affari mantiene tutta la sua forza evocativa. In un'era dove l'industria musicale si è trasformata radicalmente, dove lo streaming ha sostituito il vinile, quella fotografia continua a parlare di temi universali: l'autenticità contro la falsità, la presenza contro l'assenza, il calore umano contro il freddo calcolo commerciale. La copertina di Wish You Were Here non è solo l'involucro di un capolavoro musicale: è essa stessa un'opera d'arte che dialoga con i contenuti sonori, amplificandone i significati e offrendo una porta d'ingresso visiva a un mondo di emozioni complesse e stratificate.

