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Michelarcangelo Campanozzi

Italia, mercoledì 22 aprile 2020 - E’ una trilogia dell’amore, iniziata in una tragica atmosfera di guerra, e racconta sentimenti che agitano i cuori in tre epoche diverse.- Infatti, anche se l’autore in una miscela di esperienze crea l’apparenza di descrivere una specie di autobiografia indiretta, in effetti inventa una bella ed intrigante storia di una passionalità lineare e monogama dall’inizio alla fine, e che infine fotografa una realtà di vita e di linguaggio che era tipico del comportamento dei giovani del primo dopoguerra.-

Inizia così con le immagini, che un bimbo Adelmo, di poco più di un anno, avvertiva in un paesaggio che lui non poteva riuscire a capire, di frastuoni e tuoni, rombi e scoppi, tra uccelli enormi che volavano su e giù tra boati e grida.- Urla di persone impazzite nel pericolo e nel dolore in quella tragedia di guerra del 1943, che causò 22 mila morti nella sola città di Foggia, diventata il bersaglio da distruggere, per realizzare un inconcepibile disegno di guerra.- Leggere queste righe, mi ha portato a ricordare i miei nove anni quando, in quella stessa occasione, vedevo il cielo oscurarsi in una sola nuvola rombante formata da un insieme infinito di aerei quadrimotori “fortezze volanti” che sorvolando coprivano letteralmente il mio paese San Marco in Lamis, e dopo pochi minuti ballava tutto, col rimbombo e gli infernali boati che arrivavano per la caduta di una infinità di bombe sulla povera città di Foggia.- Tutto questo diventava la prima esperienza di vita di Adelmo, bambino di poco più di un anno, ma che già assorbiva quel suo pauroso ricordo in braccio alla sua giovane mamma, rimasta pur essa sola, con il marito in guerra, ma che cercava di uscire da quel massacro di rovine, morti e feriti, lanciandosi col figlioletto su un autocarro sgangherato in fuga .- Eccezionale fortuna questo automezzo che procedendo miracolosamente, raccoglieva un gruppo di gente da quella brace rumorosa, tra gli aerei impazziti che scaricavano il loro regalo di morte.- Ma che mondo tragico e miracoloso!.-

Da dove era uscito quell’autocarro, quell’autista pazzo, da procedere con un carico di persone isteriche per la morte che cadeva dal cielo.- Miracolo vero, che scricchiolando e sfumando, si avanzava nella polverosa strada che si allungava in quell’immensa steppa foggiana.- Allontanarsi dall’inferno verso le colline appenniniche di Lucera, non interessate dall’attenzione dei cinici avvoltoi che, senza rimorso, volavano nel disonore di una guerra senza limiti.- Ma il mezzo di fortuna, non procedeva allegramente, il suo motore piangeva chi sa quali dissesti perché, arrivando in vista di Lucera, si arrese e consegnò quei miseri alla polvere di strada, in attesa di un altro miracolo.- Ed il nuovo miracolo avvenne, infatti subito poco dopo, con l’arrivo del Barone Gerardo Malaspina su una rombante motocicletta.- Egli aveva scambiato quei poveri profughi con degli operai crumiri che lui attendeva, per impiegarli nella vendemmia, in sostituzione di altri operai ribelli della zona i quali non avevano accettato la paga minima che lui offriva.- Ed è qui il momento sublime che rese grande Amalia e la introdusse come la rappresentante di quei poveri sfollati.- La sua figura quella di una giovane mamma di un bel bambino vispo, lei stessa in una bellezza esaltante che aveva subito colpito la fantasia del Barone con i suoi occhi cerulei.- Ed ecco che i profughi in fuga, diventarono, per l’occasione, anche una grande risorsa per quei vigneti già maturi per la vendemmia, là dove i braccianti del posto si erano ribellati in sciopero contro l’esiguità della paga offerta dal Barone.- Amalia, con la sua tacita abilità, aveva alimentato l’equivoco iniziale che i profughi fossero dei braccianti crumiri che venivano a sostituire i vendemmiatori scioperanti, consentendo ai poveri sfollati provenienti da Foggia, di avere una cena calda nella masseria principale e un camerone con giacigli per la notte.- Ma nel frattempo, nel giro di un giorno ed una notte si veniva tessendo la trama dei sospetti e delle invidie tra le donne del casato che già avevano notato il trattamento di gentilezza e garbo che Don Gerardo mostrava di avere nei riguardi di Amalia, specie quando tramite l’antipatico Fattore, le aveva assegnato la custodia fiduciaria del magazzino viveri.- La personalità del Barone era come quella di tanti signorotti dell’epoca, di una eleganza da borotalco dimostrata dalle stoffe pregiate indossate anche in campagna, e con i modi di una certa padronanza, convinti di poter ottenere sempre e tutto ad ogni richiesta accompagnata da movenze che mostravano una educazione diversa, quella cortese delicatezza a cui i popolani non erano abituati.-

Amalia rimase positivamente impressionata da quelle affettazioni, ma la sua fermezza di carattere dimostrò subito quella giusta resistenza e, quando le venne opportuno, la sua ferma opposizione alle angosciose proposte di Don Gerardo, reduce da un matrimonio fallito, che si era infatti concluso, senza la gioia di un figlio, con l’abbandono della giovane sposa baronessa napoletana.- Pur non di meno, Amalia aveva accettato l’incarico di fiducia e la responsabilità del magazzino viveri che dandole anche un’autonomia di alloggio, le permetteva di estraniarsi dal gruppo degli altri sfollati, credendo così, di meglio proteggere se stessa ed il suo piccolo Adelfo.- Ma non poteva immaginare che la casa padronale formata da una villa e da una masseria fosse così tanto dominata dalla presenza di tre donne che, sia pure in maniera diversa, influenzavano la vita di quel baronato: una Teresa vedova di guerra e poppante che vendeva le sue abbondanze accettando diverse regalie per poter vivere, tra cui l’abbominevole amicizia col Fattore; Maria che aveva già in precedenza conquistato i favori del padrone e che abitava la Villa, da dove per godere l’esclusivo potere, aveva fatto allontanare Immacolata relegandola alla funzione di cuoca della fattoria.- Ma qui il privilegio di Don Gerardo che non nascondeva le sue gentilezze verso la nuova venuta, allarmò le coscienze, e fece maturare la maldicenza, quale vizio riprovevole dei sottoposti; e la prima ad ingigantire l’atmosfera fu proprio la Maria, la quale, temendo di essere poi, pur essa relegata tra le cucine per cedere il posto ad Amalia, quale nuova stagione di bellezza per il Barone, aveva diffuso i suoi sospetti che arrivarono pure alle orecchie degli sfollati.- Ne approfittarono infatti i due giovani amici sfollati gioviali e buontemponi Pietro e Fernando, che senza esitazione, e col ricatto di aggravare quella maldicenza già divulgata, costrinsero Amalia ad accettare il furto dei generi alimentari che lei custodiva.-

Ma nella fuga, per loro disgrazia, incrociarono nei braccianti ribelli del paese che rivendicavano il loro diritto al lavoro compromesso dalla presenza dei profughi, e finirono per essere linciati, malmenati e derubati.- Ma quel linciaggio doveva essere soltanto il primo segno di una rivolta ben più cruenta, che forse al di là delle vere intenzioni di quella popolazione esasperata, si sarebbe conclusa con il tentativo di invasione delle terre, logicamente seguito da altrettanto tentativo di resistenza padronale con due colpi di fucile sparati in aria dal Fattore.- La sceneggiata finì subito tragicamente, perché, in contemporanea, tutti udirono alcuni secchi ed inattesi colpi di pistola che colpirono mortalmente in testa Don Gerardo ed al petto il Fattore, sotto gli occhi di tutti braccianti e sfollati, ma soprattutto alla presenza di Amalia e del piccolo Adelmo che fotografava in memoria tutti quegli avvenimenti che avrebbero poi marcato anche i progetti della sua vita futura.- Ho conosciuto le donne di Foggia, anzi le madri che già erano oggetto della mia giovanile ammirazione durante la mia lunga permanenza in quella città, proprio negli anni dell’immediato dopoguerra.- Ma più che la loro figura femminile, ammiravo il carattere forte, protettivo e di difesa dei figli, addirittura lo loro virilità che mi fece individuare l’anima trascinatrice che ho letto in questo romanzo su Amalia la madre di Adelmo, e la paragonavo, guarda caso ad una simile donna che pure De Stasio si chiamava, ma Giovanna nuora felice di un certo Don Peppe che abitava nella Via Manzoni di Foggia.-

E qui poi comincia la vita del ragazzo Adelmo, una vita non diversa da altri ragazzi di quell’epoca, tra le certezze della mamma che credeva di aver coperto la sua psiche dalle brutte esperienze di guerra, alla libertà dei giuochi per strada tra ragazzi vocianti che amavano fare le loro esperienze con dei giuochi di contrasto e di guerra, sempre tra due gruppi, per scimmiottare le brutte esperienze dei grandi.- La vita dei ragazzi di quel tempo, forse era più felice dei ragazzi di oggi assorti dai giuochi virtuali sul telefonini, infatti si svolgeva nel movimento di guerre di quartiere tra gruppi, tipo “I ragazzi della via Pal”, ed in questi contesti affioravano spiriti di avventura ed abilità particolari, come nel caso del nostro Adelmo diventato campione di lancio con la fionda, ed abile spadaccino negli scontri con spade di legno.- Ma era anche abile nelle fantasie cinematografiche e teatrali che almeno riuscivano a riprodurre scene di marionette e pupazzi di ogni genere, che pur si concludevano in zuffe violente come quelle che più magistralmente si vedono nei pupi siciliani, oggi ancora di grande tradizione.- Poi la sua fantasia si esaltava nel voler realizzare l’impossibile con la proiezione di pellicole artigianali create con immagini dei fumetti o disegnate, per arrivare alla descrizione di episodi di guerra aerea che, per la mamma in particolare, rappresentavano brutti e tragici ricordi da eliminare dalle esperienze e dal fondo dell’anima già brutalmente colpita da quegli stessi eventi.-

Ed ecco che in tutto questo contesto di libertà infantile, si fa avanti la preoccupazione dei genitori per i riflessi che quelle fantasie potessero avere in un ragazzo in età di sviluppo, e pensarono seriamente di affidare Adelfo alla saggia atmosfera di un collegio scolastico religioso.- Ma il collegio diventò un carcere per l’animo libero di Adelmo; io francamente non avrei resistito se non pochi giorni, abituato com’ero alla grande libertà di ragazzo della via Pal del mio paese, ma devo ammirare la grande sottomissione messa in atto da Adelmo nel tentativo di adeguarsi e vivere quella nuova esperienza.- Era infatti un vero “collegio” come si intendeva in quell’epoca, di severità non solo eccessiva, ma addirittura a volte ingiustificata.- Vi era, ad esempio, una violenta repressione della personalità di un adolescente e l’umiliante incoronazione di testa d’asino, e le assurde gare “stimolanti” come quella caccia al tesoro che poi si traduceva in tante successive zuffe tra poveri ragazzi lanciati alla conquista di una graduatoria di valori senza valore.- Ma per la massima sua sconsolata esperienza in quell’ambiente, ci riporta una cronoscalata su biciclette vecchie e rugginose a cui assistette, spettatore sulla malasorte dei suoi compagni, in un percorso insostenibile per il terreno limaccioso, le curve ed i dislivelli, e tale, che si concluse con la morte del suo amico Luigi stroncato da una crisi cardiaca al termine della gara, per lo sforzo indicibile, superiore alle sue forze.-

Adelmo tornò a casa in vacanza, assaporando l’estasi del treno che lo riportava verso affetti che erano rimasti i suoi più importanti ricordi, e si entusiasmò all’entrata del treno nella stazione di Foggia verso la realtà vociante di una folla in movimento di vita fervorosa.- Ma quel brusio di corri corri, come avveniva allora attorno ai treni ed ai pulmans, gli valse, anche per un attimo, a ricordare un episodio incredibilmente tragico di morte avvenuto durante un bombardamento tra i sottopassaggi di quella stazione, ma poi la beatitudine dell’abbraccio di suo padre che lo attendeva tra la folla, lo riportò alla gioia di vivere su una carrozzella verso casa.- Dopo aver attraversato, col ticchettio musicale degli zoccoli del cavallo, il centro più bello della città, Viale Stazione-Corso Principale- Teatro Giordano-Piazza della Cattedrale, arrivò infine sotto il portone di casa tra le braccia della mamma e del fratello.- Bel momento di questo romanzo, che io ho gustato con tanta nostalgia, e mi son rivisto e ritrovato sul pulman che mi riportava a casa dopo un anno di lontananza per gli stessi motivi scolastici, ma per fortuna senza collegio, in una situazione inversa da quella di Adelmo.- Io studiavo a Foggia e la mia chimera era la libertà di giuoco e gli amici del mio paese, ed il mio rientro era dalla vita intensa ed afosa della città di Foggia, alla frescura estiva delle mie montagne garganiche che già sentivo, mentre il pulman saliva i tornanti ripidi per arrivare nelle strade dei miei sogni.-

Adelmo sembrava essere tornato in vita, dopo aver ripristinato il vincolo di affetti con i suoi cari, ed anche le abitudini di giuoco in casa col fratello, ma teneva tanto anche a ritrovare Saverio il compagno prediletto, molto somigliante a lui fisicamente, e soprattutto più audace e spericolato si direbbe oggi, un ragazzo tutto pieno di se e vivace tanto da essere sempre preso da uno spirito tentatore di avventura.- E specie per questo carattere, Adelmo, pur essendo calmo e riflessivo, nutriva la tendenza ad imitarlo, anzi ad avviarsi al seguito dell’amico alla scoperta di nuovi orizzonti, sicuramente in contrasto con la vita di costrizione che aveva attraversato, contro voglia, in collegio.- Ed ecco che Saverio non sprecò molte parole per infatuare l’amico incredulo, sulla facilità di conquistare le ragazze, e di gustare anche il piacere di maltrattarle ritenendole tutte di falsa ritrosia, mentre Adelmo si ostinava a ritenere saggiamente che quelle fossero convinzioni eccessive, od anche a dir poco offensive.- Intanto Saverio, per dimostrare in concreto all’amico la sua teoria, con facilità estrema richiamò l’attenzione di due ragazze che erano affacciate in un balcone poco distante da loro e che conosceva per essere amiche di sua sorella, ed in un attimo realizzò un appuntamento serale.- A quell’epoca i ragazzi avevano l’abitudine di riempire il Corso principale della città ed il lungo viale della Stazione, sia per passeggio che per incontri occasionali e conoscenze, quindi tutta la gioventù affollava queste due strade, e quindi era “normale” che le ragazze fossero libere di uscire di casa a quell’ora di passeggio.-

La gioventù di Foggia in quell'epoca era molto sofisticata ed i giovani, che la sera lungo il Corso e fino alla Stazione facevano un paio di ore di passeggio "sfruscio", andavano tutti ben vestiti, nessuno trasandato, anche se poveri uscivano di casa con scarpe lucide, pantaloni con la riga e giacca con cravatta, naturalmente particolare attenzione ai capelli molto ben curati, con o senza riga e possibilmente con qualche ondulazione.- Le ragazze erano pure ben vestite ed attillate con abiti e gonne ondulanti e pressettate.- In altre parole il Corso era un salotto e ci si presentava, al massimo delle possibilità, vestiti nella maniera migliore.- E quindi, in questo contesto si realizzò un primo appuntamento al centralissimo Bar Haiti, che andò a vuoto sia per un malessere giovanile di Adelmo che si sentì mancare, proprio negli ultimi istanti dell’attesa, tra l’eccitazione, l’ansia e gli effetti di una sigaretta aspirata forse concitatamente.- Fatto sta che arrivando le due ragazze Elisabetta e Mariangela, accortesi del disagio di Adelmo, li salutarono subito, adducendo dei loro impegni, forse pretestuosi, e rinviarono l’incontro per l’indomani sera in quella Villa Comunale che è alle spalle della Fontana Monumentale, simbolo di Foggia.- Saverio rimase sconcertato dalla timidezza di Adelmo, ed anche indispettito dal rinvio delle due sorelle, comunque non si perdette d’animo, anzi nell’attesa, tanta era la sua esuberanza, che spinse addirittura Adelmo a scegliere per primo la sua preda, volendo apparire senza sentimenti e dimostrare che per lui una ragazza valeva quanto l’altra.- Adelmo, per una reazione di orgoglio accettò definitivamente la sfida scegliendo la Mariangela che appariva più morigerata ed adeguata al suo carattere, lasciando all’amico la Elisabetta più procace e vivace, ritenendola più adatta alle sue pretese, ed infatti egli aveva già lanciato il suo perfido programma di allungare subito le mani tra le gambe della ragazza.- L’indomani sera i due amici si incontrarono con le due sorelle al bar in fondo ai viali della Villa Comunale, in cima ad una collinetta con un folta vegetazione, nota allora come “boschetto”, ed all’interno di un tempietto circolare che caratterizza la Villa stessa.-

E qui senza perdersi in molti convenevoli, iniziarono subito a ballare in coppia, Adelmo con Mariangela, e si trovarono subito in sintonia di affetti arrivando perfino ad un bacio occasionale durante il movimento di danza.- Poi, dopo il ballo si avviarono, con la scusa di una passeggiata romantica, per appartarsi verso il “boschetto”, dove per una occasionale circostanza di movimento sul quel sentiero, si vennero a trovare, diversamente insieme.- Adelmo in coppia con Elisabetta, e non con Mariangela, in una atmosfera sentimentale di baci ed abbracci con dichiarazione di ammirazione scambievoli, dovuta forse alla commozione della ragazza per una certa delicatezza di Adelmo, il quale istintivamente, vincendo la sua timidezza, la rendeva felice con carezze e spontanee frasi sentimentali di circostanza .- Ma un grido, un urlo dal boschetto li fece trasalire, risvegliare e correre avendo riconosciuto la voce di Mariangela che poi veniva loro incontro correndo e reclamando energicamente contro quel Saverio che, nella solitudine dell’incontro, aveva avanzato le mani in quei movimenti maldestri, che aveva programmato, per possedere la ragazza.- Alla fine questo incontro sentimentale si concluse con un litigio violento delle due ragazze verso Saverio, dopo che questi, ancora più crudelmente faceva capire che quell’incontro era avvenuto per scommessa con Adelmo sulla “facilità” di possesso delle ragazze, e quindi, per maggior sconcerto, diceva che Adelmo ne era uscito vincitore, perché forte della sua ingenuità, aveva saputo scaltramente alternarsi, prima a ballare con Mariangela, per poi appartarsi con Elisabetta.- E così l’offesa delle due ragazze diventava insanabile e senza possibilità di scusa, e comunque, l’accusato principale rimaneva Saverio.- In verità non per meravigliarmi, ma per difendere la reputazione dei giovani di quell’epoca, mi viene naturale pensare alla romanzesca fortuna di due ragazzi, poco più che adolescenti, che riuscirono così facilmente ad affascinare due ragazze coetanee, fino a portarsele in quel boschetto già al primo “appuntamento”.-

Infatti, le ragazze di quell’epoca, in Foggia anni ’50, che era poi la mia epoca e la mia città, erano molto prevenute e diffidenti, difficilmente abbordabili, anche perché i ragazzi di qualunque ceto sociale, specie studenti, non avevano la “paghetta” con genitori molto parsimoniosi, e vivevano in una perenne scarsità di tasca.- Le sigarette si acquistavano ad una o a due, mai a pacchetti; e nessun ragazzo veniva accompagnato a scuola in auto, ma si percorreva a piedi la strada lontana, con i libri sotto braccio, fino a raggiungere, come me il Palazzo degli Studi in due km dalla lontanissima Porta Napoli.- Nessuno, specie a quell’età, sognava di sedersi al bar per consumare un gelato, cosa che veniva fatta in piedi alla finestrella di una gelateria famosa del Mercato Coperto, oppure in piedi alla pur famosa gelateria Sotto Zero.- Ballare al Bar della Villa Comunale era solo un miraggio a cui nessun ragazzo sui 16 anni pensava, e tanto meno al Boschetto adiacente comunemente noto come luogo di perversione.- Pur non di meno i due ragazzi del romanzo ebbero quella fortunata intraprendenza, da riuscire ad ottenere un appuntamento galante dalle due ragazze, già al primo contatto, forse agevolato dal fatto che erano amiche della sorella di Saverio, e consumare così tragicamente quella assurda e avventata scommessa, per giunta esternata alle stesse, con estrema leggerezza, da quel sbruffoncello di Saverio.- Ma l’educazione di famiglia, e religiosa di Adelmo, produsse nel suo animo un sentimento di disagio ed un certo rimorso dopo aver assecondato le iniziative del suo amico, tanto che al suo rientro in collegio, sentì la necessità di presentarsi al suo direttore spirituale, un ascetico confessore Padre Federico ispirato e convinto di dover applicare rigidamente ai suoi seguaci i principi morali derivati dal testo sacro quale è quello delle “Confessioni di S. Agostino”.- Questi gli regalò un cilicio per punire il suo corpo in tentazione, e gli condannò tutto, come opera del demonio, compreso anche quell’altruistica e naturale amicizia collegiale con il povero Luigi, deceduto per difficoltà cardiaca durante la gara ciclistica di estrema difficoltà, che aveva tragicamente chiuso l’anno scolastico.-

Ma di fronte a tante negazioni, e senza quel sostegno morale di cui, invece, aveva sentito il bisogno; accerchiato comunque, da stimoli erotici e sogni eccitanti come ad esempio l’apparizione di Elisabetta in una rumba fantastica, subì l’istinto della fuga: “buttarsi fuori da quel collegio dove sentiva di non trovare pace”, e……pensò di rifugiarsi negli affetti di famiglia.- Ma anche qui trovò sconforto tra l’irritazione del padre e la delusione della madre, e quindi, in ultima speranza, pensò bene di mettersi alla ricerca dell’amico Saverio per riprendere il coraggio di vivere in controsenso.- Ma Saverio era stato già sconfessato dai benpensanti e dalla sua famiglia, perché persistendo nella sua relazione con Mariangela, aveva dovuto concludere la sua avventura con delle nozze riparatrici e successivo trasferimento per vivere e lavorare a Genova.- Si propose così di ritrovare la Elisabetta, e riuscì ad incontrarla durante un saggio musicale della ragazza nel prestigioso Conservatorio “Umberto Giordano”, durante una commovente esecuzione della “Fuga in sol minore” di Bach. Poi incamminandosi insieme lungo la imperiale Via Arpi fino al Palazzo delle Dogane, Adelmo si commosse fino alle lacrime nel sentire della nascita di Marisa, e poi della morte di Saverio in un incidente sul lavoro, e del successivo trasferimento a Genova della stessa Elisabetta per sostenere la sorella in gravi difficoltà.- Infine ruppe ogni indugio e con l’entusiasmo della riscoperta della passione di un grande amore, Adelmo innamorato alla follia, decise di seguire Elisabetta a Genova per essere lui stesso il sostegno delle due sorelle e della piccola Marisa.- Non voglio cimentarmi a considerare l’inferno nella famiglia di Adelmo, e lo immagino, col padre inflessibile nella sua negazione, ma mi conforta la svolta della mamma che, memore di una sua esperienza giovanile, sostenne Adelmo nel suo coraggio di lanciarsi in una estrema avventura verso il futuro.-

Come nei grandi romanzi del passato, l’autore di questi tre tempi dell’amore, per terminare la terza epoca in un odio tempestoso, imprevisto ed imprevedibile, dopo un labirinto di pensieri ed azioni vissute tra fanciullezza e gioventù, scavalca tutto un ponte di vita fino a farci ritrovare “venti anni dopo”, in una trasformazione totale di vita, nascondendoci le varie e complesse esperienze di quell’ Adelmo Ricciardi.- Infatti, dopo la sua partenza-fuga per Genova, ci fa ritrovare la bella Elisabetta in un sofferto trasferimento nella triste Lucera, dopo che essa aveva già conquistato una serenità di vita e di relazioni a Genova, come moglie del Magistrato Adelmo, e dopo aver vissuto per 20 anni con la vista del bel mare della Costa Azzurra.- Ora si ritrovava in una cittadina di provincia dove non tardarono a qualificarla per il suo portamento libero ed indipendente di donna nordica, pur senza, in verità, apparire in abiti eccentrici.- Ma fatto sta, che come era avvenuto nel 1943 con Amalia, l’ambiente locale non tardò ad attribuirle, a torto od a ragione, una intimità, guarda caso, proprio con Angelo De Vitis, considerato da Adelmo il soggetto-oggetto principale di un odio che il lettore non immagina e non prevede, perchè è nato dal ricordo tragico filmato negli occhi di Adelmo, incredibilmente, quando lui aveva poco più di un anno.- L’intreccio di questa terza parte d’amore, quindi si trasforma in odio, e si intreccia imprevedibilmente su un finale da Hitchcock, in una tragedia che partendo da una “buona” alienazione mentale del Giudice Procuratore Adelmo, buona perché rivolta ad una giusta vendetta della Giustizia, ma che produsse le conseguenze drammatiche che coinvolsero anche Elisabetta.

Stranamente lei, si era già spenta dall’amore di Adelmo perché sentitasi trascinata in trasferimento a Lucera, peraltro senza essere informata che la scelta di quella sede era stata motivata da una capricciosa sete di vendetta, assurda poi, non avendo lui personalmente subìto alcuna di quelle offese che voleva perseguire, solo per un estremo spirito di giustizia.- Non scendo nei particolari per non privare il lettore del gusto di scoprire l’ultimo Velo, come si usa a Foggia nel vivere la devozione della Santa Padrona della città, con la certezza che chi legge sarà felice di approfondire il tema con una lettura attenta di questo sceneggiato di vita magistralmente narrato da Francesco Camerino, con la passione di voler, senza ingigantire, evidenziare i fatti e le tragedie storiche della città martire Foggia, che ha pagato quel caro prezzo ad una guerra di cui non aveva alcun desiderio, e subìto poi, le musiche, i balli e le gioie di quei soldati “liberatori”, che poco prima le avevano regalato tanti micidiali confetti di mitraglia sulla popolazione civile.-

Michelarcangelo Campanozzi Giulianova (Teramo) 15 settembre 2019 "Carissimo Michele, ti sono molto grato per il tuo saggio-recensione del mio romanzo, Sei riuscito a cogliere, come meglio non si poteva, il senso e il significato di una storia collettiva e personale nella quale noi foggiani, per molti aspetti, ci riconosciamo. Ne parleremo giovedì in occasione della presentazione del libro, alla quale spero che i foggiani che vivono e operano a Teramo vorranno partecipare. Cordiali saluti. Francesco Camerino" 

Michelarcangelo Campanozzi