di Nicola M. Spagnoli

Roma, lunedì 24 dicembre 2018  -  Quale migliore occasione se non quella natalizia per pensare ad evadere dalla pazza folla e fare un viaggio lontano lontano, magari in barca a vela nei Mari del Sud? A questo mi ha fatto pensare rivedendo la copertina del disco di un nostro poeta, purtroppo un po’ dimenticato ultimamente, ma degno di stare nell’Olimpo dei fu al pari di Dalla e De Andrè: Sergio Endrigo. Una carriera iniziata in sordina da profugo dell’Istria ma con una vena, come dicevamo, poetica che aveva voglia di esprimersi e di emergere essendosi rifugiato da ragazzino e con la mamma a Brindisi a fine guerra, nel 1947.

 A quell’anno e alla sua città natale poi dedicherà una bellissima canzone all’apice del successo nel 1969 ma come cantautore i primi vagiti risalgono agli anni ’50 fino all’esplosione popolare nel 1962 con una delle canzoni italiane più belle mai scritte, e cantate, Io che amo solo te rifatta da tanti successivamente fra cui Mina, la Nannini, Jannacci e infine come non ricordare la mirabile versione che ne diede Giuni Russo in Para Siempre? Certo i suoi classici hanno avuto innumerevoli interpetri, Era d’Estate, Te lo Leggo negli occhi e Aria di neve furono omaggiate anche da Franco Battiato e perfino gli Aphrodite’s Child non se lo lasciarono sfuggire ma fu soprattutto la compianta e bravissima Marisa Sannia che gli dedicò un intero album, nel 1970, anche per l’amicizia che la legò a lungo al cantautore.

La città di Pola addirittura un monumento di fronte alla sua casa natale ispirato alla celebre L’Arca di Noè e Terni, dove amava soggiornare, gli ha dedicato un festival e una via. Nel ’66 il primo successo sanremese, Adesso si, ci ritornò l’anno successivo con Dove credi di andare e addirittura lo vinse nel 1968, primo cantautore a raggiungere questo traguardo, con Canzone per te cantata insieme ad un grande autore brasiliano, Roberto Carlos. Marianne, dalla bella copertina di gusto picassiano ebbe un buon piazzamento quell’anno anche all’Eurofestival. Nel 1969 si piazzò secondo, sempre a San Remo, in coppia con l’inglesina, beatlesiana, Mary Hopkins con Lontano dagli occhi e al terzo insieme ad Iva Zanicchi, l’anno successivo, con L’arca di Noè.

A parte i grandi successi ad Endrigo va il merito di una riscoperta italica della canzone brasiliana a partire dall’album epocale La vita, Amico, è l’arte dell’incontro con Vinicius de Moraes e Giuseppe Ungaretti a fine anni ’60, un album premiato anche per la copertina minimalista a forma di chitarra che vinse il World Gold Cover e che fu opera del grafico illustratore Ferruccio Piludu, autore poi della maggior parte delle copertine, sia di 45 giri che di LP, di Sergio Endrigo. Non disdegnò nemmeno altri artisti come Ligabue per la copertina de Il Giardino di Giovanni ma qui vogliamo ricordare soprattutto quelle con canzoni dedicate ai bambini e addirittura con essi eseguite come ne La casa/La marcia dei fiori, nei successi Ci vuole un Fiore o Il Pappagallo o La Pulce o El Merlo e tante altre.

Notevole il suo impegno sociale con canzoni che allora nessuno si sognava di scrivere come Perché non dormi fratello?, Anch’io ti ricorderò sul Che Guevara, Camminando e cantando, Per te Armenia, La Colomba e altre ma veniamo a questo disco. I Mari del sud (foto 1) è illustrato da ben sei pannelli messi in fila del grande Hugo Pratt, che solo per Paolo Conte fece un’altra copertina, quella di Parole d’amore scritte a macchina, e naturalmente è dedicata al suo eroe, il mitico Corto Maltese che si vede chiaramente in uno dei pannelli. Pratt collabora anche come paroliere in Pandora, una delle canzoni dell’album, album che vede la partecipazione, suffusa, sia di Ornella Vanoni che di Ivana Spagna.

Non manca anche qui una canzone sociale come Francesco Baracca né occhiatine al jazz (Tip Tap) ma tutto sommato Mari del sud è un album tranquillo e sognante, come la copertina del resto. Una curiosità non manca nelle copertine della discografia di Endrigo, mi riferisco alla mucca pezzata in bella vista, ma questa volta cavalcata dall’autore, di Viva Maddalena, una copertina che precede di un buon decennio l’altra storica, e universale, dei Pink Floyd di Atom e che ci rivela un autore ironico e affatto triste come alcuni credono.

 

                                                                              Nicola Maria Spagnoli