a cura di Nicola M. Spagnoli                                    

Roma, lunedì 7 dicembre 2020 - ll titolo doveva essere Alfreda Benge che da quasi cinquant’anni è la moglie di Robert  Wyatt (foto 1), collabora con lui a molti testi dei suoi capolavori e a volte anche come voce ma soprattutto è colei che ha disegnato tutte le sue copertine a partire dall’epocale Rock Bottom che per molti è il disco più importante del rock di sempre. Naturalmente lei non è nota ai più ma è sicuramente ugualmente importante per essere stata, oltre a tutto ciò sopra descritto, anche la Musa e la guida del nostro musicista che da quando cadde dal quarto piano di una appartamento durante una festa fu costretto a vivere tutta la vita su una sedia a rotelle.

Alfreda, o Alfie, detto all’inglese, arrivò in Inghilterra a sette anni proveniente, con i suoi, dall’Austria, da adulta ai tempi si occupava di cinema ma era ed è anche una valida poetessa ed era inevitabile che suoi testi siano stati utilizzati dal nostro nelle sue canzoni. Naturalmente a noi in questa rubrica interessa di più come illustratrice, lo è stata anche di libri per l’infanzia, ma da non dimenticare anche il suo impegno, nel sociale al pari di Robert, per i diritti civili, le cause degli esclusi e quant’altro. Alfie, ha iniziato la sua collaborazione, ma soltanto ai cori, nel secondo album dei Maching Mole wyattiani, quello con la copertina “maoista” (anche se allora Wyatt non era ancora un militante del Partito comunista inglese ma soltanto, a latere, simpatizzante del movimento Rock in Opposition (RIO) di cui facevano parte altri musicisti progressive della scuola di Canterbury come gli Henry Cow, fondatori, gli Happy Slappy e persino i nostri Stormy Six.

Il primo artwork di Alfie fu quello per l’acquatica copertina del già citato Rock Bottom, un disegno fatto a matita e carboncino mentre in una recente ristampa l’etereo fondo marino quasi trasparente viene sostituito da uno a colori di un verde intenso in cui si vedono due tuffatori, un uomo e una donna in sgargianti costumi (foto 2). Certo questo non era il primo disco solista di Wyatt, dopo una collaborazione con il David Allen Trio nel ’63 e subito dopo con i Wilde Flowers (nome omaggiante ad Oscar Wilde!) è da citare soprattutto la fondazione dei Soft Machine che non hanno bisogno di presentazioni e la sua partecipazione ai loro primi quattro dischi fra cui non possiamo non ricordare quello vhe è considerato il migliore, Third, il terzo, soprattutto per merito della lunga Moon on June di Wyatt, una vera e propria summa del Jazz rock dell’epoca nonché del Canterbury sound.

L’esordio solista di Wyatt, sottotono per il pubblico ma sconvolgente per i tempi, fu The End of an Ear nel ’70, un titolo che era tutto un programma, stupendo anche come copertina che però non era farina del sacco di Alfie perché ai tempi non si frequentavano ancora. Dopo Rock Bottom il secondo album in cui lei interviene è Ruth is a Stranger than Richard (foto 3) con uno stile pittorico lucido e surrealista: due personaggi in primo piano con teste mostruose che contrastano con lo sfondo naive, un giardino con  biancheria stesa al sole. Una copertina enigmatica che è stata interpretata in vari modi e l’album, ugualmente prodotto come il precedente da Nick Mason dei Pink Floyd e che vede Brian Eno ai synth (i due si scambieranno la cortesia più volte e nella storia comunque resta la collaborazione di Wyatt al capolavoro di Eno Music for Airports!), risulta ugualmente notevole musicalmente anche se non al livello del precedente.

Un periodo di pausa che corrisponde ad un grande impegno politico nella sinistra inglese ed eccoci, dieci anni dopo, arrivati a Old Rottenhat, intimista ed essenziale come la copertina fra il preziosismo klimtiano e il minimalismo di Paul Klee (stile ripreso dalla  Bange in Work in progress dell’84), di un colore giallo intenso (solare, foto 4 sul davanti e sfondo turchese (marino) sul retro in cui galleggiano superfetazioni coloristiche e geometriche. Da qui in poi bisogna aspettare più di un lustro per godere di un suo disco e di un’opera di Alfreda ed eccoci al 1991 con Dondestan, altro capolavoro dai forti connotati politici e sociali ma con una copertina ingenua e colorata: un selfie coloristico di entrambi nella casa del loro temporaneo esilio spagnolo.

Ancora sei anni di silenzio solistico ma denso di varie collaborazioni anche italiche ed ecco che troviamo Shleelp (foto 5), l’etereo nuovo capolavoro, anche grafico diremmo con quella colomba in volo con sul dorso il nostro musicista dormiente dipinto come fosse in un sogno ed alla maniera di una illustrazione favolistica. Ancora sei anni ma Cuckooland non sembra essere una copertina di Alfreda, così astratta e diversa dal solito, del resto il nome dell’autore dell’artwork non è riportato in copertina mentre lo è, ed è riconoscibile anche se in polittico e alla Paladino transavanguardista, quella di Comicopera (foto 6), l’ultimo disco di Wyatt a cui non seguiranno altri per sua dichiarazione ufficiale. Un fac-simile grafico era stato già realizzato per il cofanetto EPS  di cinque dischi uscito nel ’99 mentre vale la pena di ricordare anche il ritratto picassiano con inevitabile bandierina rossa per la raccolta 82-84 (foto 7) e infine perchè non citare anche una delle rare incursioni di Alfreda nell’artwork di altri artisti come quella di Fred Frith del 1981?

 

                                                                       Nicola Maria Spagnoli

 

 

Foto 1

 

Foto 2

 

Foto 3

 

Foto 4

 

Foto 5

 

Foto 6

 

Foto 7