Nicola M. Spagnoli

Roma, venerdì 22 maggio 2015 -  Innanzitutto bisogna dire che e’ un miracolo che un artista del genere abbia potuto esprimersi sul vinile e quindi essere poi conosciuto in tutto il mondo e non rimanere soltanto nel circuito del passa parola locale. Merito del grande Peter Gabriel che inizio’ a stampare in occidente i suoi lavori e questo e’ il primo disco completamente “occidentale” di uno dei più grandi cantanti di tutti i tempi (Jeff Buckley diceva spesso: Nusrat is my Elvis), Nusrat è stato chiamato Shahenshah-e-Qawwali, che significa L'imperatore del qawwali, fu fatto Sir nel Regno unito e alla sua morte, avvenuta a soli 48 anni, ebbe perfino i funerali di Stato in patria.

 Questo e’ il primo con la chitarra e la supervisione, discreta e rispettosa, di Michael Brooks, un altro grande della ricerca e della musica d’avanguardia, che giustamente qualche anno dopo accrediterà il suo nome in copertina accanto a quello del Maestro in un altro lavoro chiamato Night Songs. Personalmente preferisco il primo disco di questo artista uscito naturalmente sull’ etichetta Real World di Gabriel, quello che lo ha rivelato a noi poveri rokkettari dell’altro emisfero, realizzato lo stesso anno della sua partecipazione a Passion, e proprio nell’omonimo brano,che a tutt’oggi viene considerato il capolavoro di Peter Gabriel e che, a conti fatti, che non ringrazieremo mai abbastanza per averci rivelato questo maestro. Il primo LP ‘occidentale’ di Nusrat era il travolgente LP Shahen-Shah (foto 1) che avrò sentito un milione di volte, specie il lungo brano Shamas-ud-doha, Badar-ud-doja che dà, provare per credere, emozioni da brivido, con quell’incredibile e trascinante contrappunto fra voce, tablas ed harmonium ed un ritmo impareggiabile, realizzato con il solo battito delle mani. LP non trattato in questa rubrica solo perche’ la semplice foto in B/N del suo faccione in copertina non era proprio il massimo.

La copertina di Mustt Mustt, invece, fu realizzata da un altro grande artista, della musica come dell’arte, Russell Mills che farà altre due copertine ugualmente belle per “Il Supremo”, quella occidentale di Devotional Songs ( foto 2) e quella di Love Songs. Maestro dell’informale inglese, Mills è sempre stato fedele, e lo è tuttora, alla lezione di Rauchenberg e di Jasper John, mettendoci di suo e di Ready-made elementi non chiassosi, essenziali ma a volte preziosi come la lama dorata in rilievo di questa cover. Memorabili i tantissimi suoi lavori e tutti per dischi di gran qualità, passando dal minimalismo estremo per Brian Eno a quello per i Japan, molte poi per il loro leadel ovvero quelle per David Sylvian da solista e quella famosa con corda pei i Nine Inch Nail, fra cui il loro logo in più versioni e poi anche installazioni di scena a cui è stato sempre affezionato, specie a quelle per balletti d’avanguardia. Una commistione più unica che rara, insomma, quella di Mills, fra arte pittorica notevole e musica, l’arte al servizio della musica e viceversa consistendo soprattutto, anche le sue personali esibizioni ed i suoi numerosi lavori su vinile e CD, proprio in questo: visioni oniriche e suoni dell’anima. Solo un altro artista, forse, ma diversamente dal nostro, in una maniera più cruda e schokkante, ha trattato l’argomento corpo-anima, l’austriaco Hermann Nitsch.

Nusrat Fateh Ali Kanh in soli dieci anni di concerti occidentali, ed in venti in patria, il Pakistan, dove è adorato come un Dio (foto 5), ha fatto conoscere al mondo il canto Qawali, la musica devozionale Sufi, non avendo comunque remore di alcun genere, collaborando con monaci cristiani come con rocker puri (Eddie Vedder dei Pearl Jeam) o con i maestri del trip-op, i Massive Attack come nella ripresa, proprio alla fine di questo disco, del brano omonimo. Incurante dei suoi mali, Nusrat ha preferito dare tutto di sé al pubblico fino alla fine, arrivata nel 1997. Ci chiediamo cosa sarebbe successo se, in Italia, lui e Demetrio Stratos avessero potuto incontrarsi e fare un disco o un concerto insieme….

                                                                                                                           di Nicola Maria Spagnoli

 

 

 

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