Nicola Maria Spagnoli

Roma, sabato 22 agosto 2015 -  MU è il nome di uno dei tanti continenti scomparsi dalla Terra poco prima dell’attuale civiltà umana (circa 13 mila anni fa) come Atlantide, Lemuria, Naga. Naturalmente, senza solide basi documentarie nulla è certo ma alcuni studiosi, non troppo accreditati nel mondo scientifico, hanno dedicato le loro vite a dimostrare la veridicità di alcune (scarse) fonti letterarie e reperti e quindi… tutti alla ricerca della collocazione. La mitica Atlantide avrebbe dovuto trovarsi dopo le colonne d’Ercole e quindi, grandissima, nell’Atlantico, oppure dopo Scilla e Cariddi e quindi molto più piccola - ovvero poteva esser l’attuale Sardegna dove grandi complessi nuragici, anche al centro dell’isola, sono stati ritrovati sotto stratificazioni evidenti di fango e detriti. 

 Tornando a Mu, supposta superpotenza dell’epoca, fu James Churchward, alla fine dell’800, a scoprire misteriose tavolette birmane in un tempio dell’India che ne raccontavano la storia: posta nell’Oceano Pacifico, aveva, secondo lui, una superficie tredici volte l’Italia, 45 milioni di abitanti, tutti pacifici e che vivevano tranquilli nel rigogliosissimo continente fino al suo improvviso sprofondamento nelle acque, dovuto alla collisione della Terra con un asteroide, sprofondamento su per giù coevo a quello di Atlantide. Anche Mu quindi, come Atlantide, ha affascinato scrittori e musicisti, nonché personaggi di fumetti famosi - Corto Maltese con Martin Mystère è uno di quelli, anche in più versioni come quella non apocalittica e di origine astrale ma autodistruttiva: una guerra con Atlandide con uso di arma finale (atomica?).

Il nostro Richard Cocciante (allora si chiamava così, essendo di madre francesee nativo di Saigon) al suo esordio discografico tirava fuori questa bellissima opera-rock ante-litteram di carattere storico- fantasiosa-psicologica con brani piacevoli e ben arrangiati, degni precursori delle future Notre Dame de Paris e Giulietta e Romeo con la differenza che qui cantava lui e solo lui. Brani che il nostro non ha dimenticato, che vengono inseriti anche in recenti compilation, come Ora che io sono luce, A Dio e Uomo, ma che non avevano certo la drammaturgia e l’impatto dei suoi capolavori più acclamati. D’altronde Cocciante non esplose affatto con questo disco, pubblicato solo in Italia e Francia, ma lì con diverso titolo (Atlantì), con una grafica fantasmagorica che soddisfaceva molto gli appassionati della ricerca e gli amanti (allora ancora scarsi) del nascente Progressive rock italiano. Un disco effettivamente ricercatissimo soprattutto successivamente, sia per la grafica particolare che per le musiche, tutte di Cocciante, e soprattutto per gli arrangiamenti pop-sinfonici di Dossena/Greco e per le prestigiose collaborazioni (Joel Vandroogenbroeck dei Brainticket, Paolo Rustichelli del duo prog Rustichelli e Boldini e il jazzista Maurizio Giammarco, il resto tutti stranieri.

Il disco attrae ancor oggi anche per una chicca sperimental-indianeggiante iniziale, Intro, che sembra estrapolata da Fetus o Pollution di Battiato. Un po’ come aveva fatto, l’anno prima, Claudio Rocchi con il brano Ouvres, solista al flauto Mauro Pagani, che faceva da apertura lisergica al mistico esordio, l’altrettanto melodico, seppure minimalista, Viaggio. Allora un po’ tutte le copertine del nuovo filone erano ricercate e in particolare questa dello Studio Up & Down non era da meno. Arte di ispirazione arcimboldiana per il viso del cantante, traforata verso il libretto colorato interno che conteneva, in una cartellina di cartone bianca, anche i testi ed una foto vera di Riccardo ma che successivamente fu lanciata molto semplificata, come adesso appare in cd con sul retro lo stesso faccione. ma bambolesco ed acquerellato, in ambientazione cosmica. 

Lo stesso traforo fu realizzato, ma in maniera meno elaborata, l’anno successivo sulla copertina di un altro disco progressive, L’isola di niente della PFM. Nello stesso 1972 questi grafici avevano elaborato, fumettisticamente, il mitico esordio di Quella vecchia locanda, una copertina doppia favolistica piuttosto fantastica e soprattutto avevano realizzato il loro capolavoro, con la copertina del terzo disco dei già lanciatissimi Trip. Un doppio capolavoro quest’ultimo che non a caso riguardava, e si intitolava, come l’altra civiltà scomparsa di cui parlavamo in apertura: Atlantide appunto. Da ricordare infine un capolavoro internazionale di un paio di anni prima, il doppio Mu del grande Don Cherry, jazz sofisticatissimo: tutta un’altra cosa.

                                                

                                                                                   Nicola M. Spagnoli