Mario Ciro Ciavarella Aurelio

San Marco in Lamis, domenica 28 luglio 2019 - Dopo che “Non c’è più religione!”, siamo passati ad un momento storico in cui ci devono stare le parolacce!! Stare, nel senso che devono vivere per sempre e proliferare nel tempo! E più ce ne sono e più il discorso fila! Sembra strano, eppure la cultura che evolve, ci sta portando verso questo altro traguardo dell’Umanità: dare senso compiuto ai discorsi, rafforzandoli con parole a schema libero, che non sono quelle dei cruciverba.

 Ma parolacce, come e quando si vuole! Sembra che con il passare del tempo, si stiano inventando nuovi termini offensivi, che diano un senso ancora più marcato ai nostri concetti, espressi magari più volte e diretti al maggior numero di persone.

Non confondiamo la parolaccia con la bestemmia: quest’ultima non offende l’uomo, ma dio. Ecco perché tempo addietro, la bestemmia era un reato. Invece le parolacce cercano di ridicolizzare l’avversario, non sapendo come farlo in altri modi. Ma offendendo dio, il discorso si complica. In questo caso l’uomo punisce “il peccator parlante”, per non far ricadere su di esso l’ira di dio!! Che sarebbe molto più severa di quella dell’uomo-giudice.

Anche se bestemmiare non è più un reato, può costare caro, fino a 400 euro nel paese di  Saonara, in provincia di Padova, dove il nuovo regolamento di polizia urbana deliberato dal Comune, prevede una maxi multa per chi si lascia scappare un’espressione blasfema. In Italia, bestemmiare non è più reato dal 1999, anno dell’entrata in vigore del decreto 205. Ma resta un illecito amministrativo, punito in base all’articolo 57 del codice di procedura penale con la multa da 51 a 309 euro. Possono essere sanzionate solo le bestemmie contro Dio e non contro la Madonna, i profeti e i santi (che non sono considerati divinità). Sembra una “presa di posizione evangelica”: i protestanti non considerano venerabili tutto ciò che non è dio!!

C’è un bel siparietto tra i bambini del libro (e del film) “Io speriamo che me la cavo”, dove alunni di quella scuola fanno a gara a chi riesce ad offendere in modo più “espressivo” l’amico di banco, dicendogli la parolaccia più lunga, e che comprenda il maggior numero di parenti del ragazzo, al quale la super-parolaccia è diretta.

Nel nostro Sud la parolaccia è un “modus operandi”: la si usa anche per salutare amichevolmente l’amico che non si vede da troppo tempo, chiedendogli come mai fosse ancora vivo (“Non t’accid ancora nisciun?”)

Il massimo di un mix tra parolacce e bestemmie ce l’ha Benigni nel suo film “Berlinguer ti voglio bene”, dove si lancia in un turpiloquio mai sentito prima in nessun film, forse a livello mondiale. Qui riportiamo solo la parte iniziale con i dovuti puntini di sospensione: “La merda della maiala degli stronzoli nel culo delle poppe pien di piscio co'gli stronzoli che escan dalle poppe de budelli de vitelli con le cosce della sposa che gli sorte fra le cosce troppe s…. dentro il c…  troppi c…. dentro il c… che gli spuntan dalle cosce che gli tornan dalle gambe con la mamma ni'p…… della nonna che gli schianta da il su' corpo che gli leccano la schiena poi gli sputa ne'c…… e  lecca ni'ggroppone co schiantassi tra le zolle che si striscia'n mezz'all'erba che le mamme tutte gnude che si struscian dalle file e si sgroppan con la schiena… “ ci fermiamo qui con questo sfogo cinematografico di Benigni.

D’altro canto (adesso cerchiamo di recuperare), nella la serie televisiva “Dowton Abbey”, dove si racconta la storia di una ricca e numerosa famiglia inglese di inizio ‘900, un telefilm molto elegante, forse è l’unico esempio di intrattenimento dove non c’è, non dico l’ombra di una parolaccia, ma nemmeno il minimo accenno di nervosismo e agitazione che potrebbe coinvolgere i personaggi di questa storia.

A Dowton Abbey tutto è perfetto, fine, raffinato, compreso i congiuntivi pronunciati dai domestici (ignoranti) che servono in modo impeccabile i padroni di casa. La parolaccia che manca, è quella che potrebbe dare un senso compiuto nella storia di “Dowton Abbey”. Anche perché non mancano in questa serie televisiva, le disgrazie: morti, povertà assoluta di alcuni personaggi, eventi nefasti presenti e futuri. Eppure lo stile rimane intatto: tutto viene detto e fatto senza il minimo imprecare verso il prossimo.

Però, parliamo di una storia di oltre 100 anni fa, quando, forse, le parolacce avevano un valore: si dicevano quando era proprio necessario. Un valore aggiunto!!

 

Mario Ciro Ciavarella Aurelio