Antonio Del Vecchio

San Marco in Lamis, giovedì 25 gennaio 2018 - Con la revisione storica degli ultimi tempi si dubita profondamente sul fatto che il fenomeno del brigantaggio che investì il Mezzogiorno d’Italia fu di carattere preminentemente delinquenziale. Per cui alcuni studiosi  tendono ad inquadrarlo nell’ottica della resistenza agli “invasori” garibaldini e piemontesi. A tutti loro, comunque, indipendentemente dal fronte degli schieramenti vanno i rintocchi della campana del ricordo. All’anzidetto fenomeno si assistette anche, a Rignano Garganico, in misura quantitativo minore al resto del Gargano, ma percentualmente maggiore, se si tiene conto dell’entità irrisoria della comunità.

 Tra i briganti che l’hanno fatta franca troviamo invece i rignanesi Francesco Caterina, detto Franceschiello, Gabriele Galardi, detto Jalarde, e i fratelli Nisi, di cui si dirà. Nel corso del 1861 gli eccessi delle orde degli insorgenti, alias briganti, tenevano concitati oltre modo i nostri paesani. I ricchi abbandonarono Rignano, dove vi rimase l’arciprete don Matteo ricci per servire di conforto alla popolazione. Il brigante Francesco Caterina gli annunciò il 5 giugno 1961 che la banda sammarchese di Angelo Del Sambro, detto Lu Zambre, avrebbe invaso il paese il giorno successivo per vendicare la morte del loro compagno Agostino Potecaro, ucciso da sconosciuti sulla via maestra per San Marco. Pare per vendetta, per aver violentata una donna d’altro.

Circa tremila briganti si mossero il 6 giugno alla volta di Rignano. Si deve proprio ai briganti rignanesi Caterina e Galardi, ma soprattutto al loro capo Del Sambro se fu evitata la strage. Difatti fecero rimanere fuori dal paese la turba e si accontentarono tutti del vitto raccolto e fornito da don Matteo Ricci, a cui va il nostro plauso e ricordo maggiore. Da evidenziare che qualche giorno prima gli stessi Caterina e Galardi ed altri fiancheggiatori si fecero consegnare da Don Matteo tutti i fucili (per lo più di cacciatori e guardiani) esistenti in paese e consegnati dai possessori per paura della rappresaglia. Risulta che sia Franceschiello (Caterina) sia Jalarde avevano donne - amanti  in paese. Ci risulta che alla convivente di Jalarde fosse nato un figlio morto (registri parrocchiali).

Gli altri nomi di briganti e fiancheggiatori rignanesi li troviamo contenuti negli atti del processo svoltosi al Tribunale Penale di Trani (ottobre 1863-marzo 1864) per i fatti criminosi svoltisi in Rignano e San Marco nei giorni 2, 3 e 4 giugno 1861. Nella narrativa degli eventi delittuosi, svoltisi nella mattinata del 4 giugno 1861, a Rignano, su incitazione dei loro capi Galardo e Caterina, i quali ebbero parte anche alla uccisione delle tre guardie mobili in San Marco, troviamo:  Matteo Tardio (macellaio), che era già in continua relazione con i capi-briganti ed andò pure a combattere con essi. E poi: Antonio Ponziano, corrispondente dei briganti, con i quali straviziava, Antonio Novelli, Michele Ianno, Giuseppe Cervone, Silvestro e Saverio De Majo, Raffaele Ciavarella, Pietro Falcone, Michele Pettolino (arrestato), Alessandro Leone, Leonardo Nisi, Michele D’Alessandro e Vincenzo Novelli. Quest’ultimo si permise anche di abbattere lo stemma del posto di Guardia, di lacerare la bandiera Nazionale.

A questi bisogna aggiungere Antonio Gentile, Matteo Viola, oltre ai succitati capi Galardo e Caterina. I rivoltosi di Rignano (2-3-4 giugno 1861) furono armati con i quaranta fucili consegnati da Don Matteo. Nella congrega dei malfattori, c’è pure Antonio Capotosto, accusato di aver minacciato Michele Urbano per ottenere il grano, mentre Giuseppe Antonio Battista (originario di San Marco, ma domiciliato in Rignano) che andava da un pezzo con i briganti, andò in processo per aver rubato il fucile a Cipriano Del Vecchio e tentato di scassinare il negozio di Gioacchino Piccirilli. Molti contadini rignanesi delle campagne vicine si mescolarono (il 4 giugno 1861) alla truppa degli invasori sanmmarchesi.

Di questi tutti diedero prova di animo truce e di spirito di rapina, eccitati com’erano dal citato Matteo Viola e da Francesco Gisolfi, che aveva il predominio sulle masse. Antonio Novelli fu udito vantarsi di aver ucciso un soldato piemontese; Leonardo Nisi, tornando dalla battaglia, di aver dato abbatturo un soldato ferito e di avergli sfilato la giberna e il cappotto; Matteo Tenace di Giovanni si gloriava anche lui di aver ucciso due piemontesi.  I furti commessi  dai briganti ai danni di proprietari di Rignano sono: furto di 60 ducati in danno della signora Donna Raffaela Castello, durante il quale fu minacciato il suo domestico, Gaetano Di Gregorio; furto di proiettili a danno di Francesco Saverio Del Priore, con scasso del suo fondaco.

Dal predetto Tribunale, sia Caterina sia Galardi furono condannati al carcere. E fu proprio in carcere che il malvivente confidò ad un suo compagno di cella, di cui non si sa il nome, l’esistenza a Grotta Paglicci di un tesoro dei briganti. Notizia che molti anni dopo passò a Leonardo Esposito di Sannicandro Garganico, il quale negli anni ’60-70 sconquassò inutilmente la Grotta per ritrovarlo. Alle vicende di quest’ultimo si ispirò la novella “Il Tesoro” di Arturo Palma di Cesnola (edito e presentato nel 2017), direttore delle campagne di scavi susseguitisi sino al 2004, che portarono alla luce gli strabilianti reperti dell’epoca Paleolitica, che tutti ci invidiano nel mondo.