Nicola Maria Spagnoli

Roma, mercoledì 20 luglio 2016 -  Coney Island Baby (foto 1), fu il quinto album solista di inediti di Lou Reed, un disco uscito fra la fine del ’75 e l’inizio del ’76 fatto di canzoni molto diverse da quelle del precedente lavoro, quello della celebre provocazione sonora di Metal Machine Music, un disco certamente commerciale che intendeva riportare il nostro in auge presso il grande pubblico ed un disco diverso anche dal concept-capolavoro Berlin ma comunque pur sempre di gran classe, ideale per un neofita reediano e per un primo approccio alla conoscenza di questo artista.

 Idealmente è il seguito di Transformer ma solo per quanto riguarda i testi che oltre a celebrare la liberazione gay, parlano d’amore, amore a 360° ispirato dalla sua musa del momento, il celebre transessuale Rachel, alias Tommy con cui Lou divideva vita e vizi (metredina) ed dal loro primo, fulminante, incontro di cui parla proprio in una delle canzoni più riuscite del disco, Crazy Feeling che è anche quella che apre l’album. Una vena compositiva melodica ed intimista caratterizza, in generale, tutto l’album con l’eccezione per la tiratissima e jazzata Kicks che oltretutto, parlando di serial killer, ha un linguaggio oltremodo crudo e realistico. Troviamo quindi il tenerissimo e lirico brano soft che da il titolo alla raccolta e che vale almeno quando il più celebre Walk on the wild side di Transformer.

Il brano Charley’s girl sfodera addirittura un coretto a cui partecipa anche il produttore, il celebre Godfrey Diamond mentre un’altro coro, ma molto più informale, figura nel finale di She’s my best friend, un pezzo che sembra proprio uscito dallo storico Loaded dei Velvet Underground. Fra le imperanti ballate, esemplare A Gift, ma non manca anche qualche accenno rock e Ooohhh Baby la dice lunga in proposito.La copertina riproduce esattamente il contenuto di questo disco ed è opera del fotografo più celebre del Glam, quel Mick Rock che già aveva creato quella celeberrima di Transformer (foto 3) e che subito dopo si era dedicato, come fotografo principale, all’ancora più celebre opera, il film dal musical Rock Horror Show, immortalando il fantasmagorico Tim Curry in tutte le pose e in tutte le espressioni possibili.

Certo la foto sulla cover, e quella sul retro copertina (foto 2) non rifuggono dall’ironia in quanto la stessa bombetta, lo stesso papillon lo troviamo anche in celebri pose di Charlie Chaplin se non addirittura di Stan Laurel ed anche il retro dell’album sembra confermare questa ipotesi alla Charlot . Anche la busta interna contiene, sul davanti e sul di dietro, due scatti del nostro, ma di carattere diverso, in pose più realistiche, selezioni da un ampio servizio che Mick Rock all’epoca fece a Lou e che ritroviamo anche in alcuni selfie comuni molto popolari all’epoca. Certo queste di Lou Reed non furono allora le foto che sottolinearono lo spessore artistico di questo fotografo, molto più egli deve alle scarne inquadrature che dedicò a David Bowie (era il suo fotografo ufficiale ai tempi di Ziggy Stardust) o a Freddie Mercury e ancor più a Iggy Pop, foto passate alla storia del Rock.

Negli anni ’70 quasi nessuno dei trasgressivi e dei glam-star sfuggì al suo obiettivo e infatti nel suo carnet troviamo sia gli Stooges che i Sex Pistols, i Ramones e i Talking Heads, i Roxy Music e i Blondie nonché, fiore all’occhiello, un’altra mitica copertina, quella dello storico disco di Syd Barrett, The Madcap Laughs. Da sottolineare infine come in questa copertina, oltre all’espressione, contano soprattutto i particolari e i grandi fotografi, quasi tutti, non sfuggono a questa regola come, tanto per citarne un paio, Brian Griffin e il suo raggio di luce sulle scarpette bianche di una nota copertina di Joe Jackson o Jim Houghton, specializzato in maschere, ed una di queste la troviamo su un altro disco cult del pop, The Stranger di Billy Joel.

                                                                                      Nicola M. Spagnoli

 

foto 1

 

foto 2

 

 

 

foto 3