di Luigi Ciavarella

San Marco in lamis, lunedì 9 ottobre 2017 - A mezzo secolo di distanza dal fortunato hit “A Whiter Shade of Pale”, che li fece conoscere in tutto il mondo, e a quattordici anni dal precedente “The Well’s On Fire”, ritornano i redivivi Procol Harum con un album nuovo di zecca che rinverdisce il loro passato costruito sulla scia di un rock progressivo armonioso dominato dall’hammond di Gary Brooker.

 Il lavoro si intitola “Novum” che sembra prediligere un ritorno alla forma latineggiante anche se l’indirizzo musicale evidentemente oggi è cambiato rispetto a cinquantanni fa. Della vecchia guardia è rimasto il solo Gary Brooker, tastierista di taglio classico, (manca Keith Reid, altro storico membro originario), a guidare una formazione che annovera nomi nuovi, anche se già noti da tempo nell’ambiente musicale londinese. La novità assoluta è la presenza del paroliere Pete Brown famoso nei sixties per aver contribuito al successo dei Cream di Eric Clapton e Jack Bruce, attraverso una serie di brani che appartengono alla storia della musica Rock.

Non solo, lo stesso nei settanta fu titolare di un proprio gruppo i Bettered Ornaments che insieme a Piblokto, altra denominazione a cui viene associato il suo nome, agitarono la scena underground inglese con dischi molto originali. Degli altri componenti da citare almeno il bassista Matt Pegg (reminiscenze Jethro Tull), il chitarrista Geoff Whitehorn e il batterista Geoff Dunn (anche qui con collegamenti importanti tipo Van Morrison, Roger Chapman, etc..) che si prestano a realizzare un’ opera che del passato conserva ben poco, che non smarrisce del tutto la matrice blues e l’arte sinfonica, ed ha la consapevolezza di dover mediare tra diversi stili. Infatti il sound è un pop brillante ed eterogeneo che nulla o quasi preserva del proprio passato però si nutre di belle canzoni che si lasciano ascoltare con gran piacere.

A cinquantanni dal primo vagito progressive, come molti sono disposti a giurare, i Procol Harum, che hanno fatto la storia della musica rock con brani diventati immortali come Homburg (L’ora dell’amore in italiano), A Salty Dog, Conquistador, etc. – senza considerare che la stessa A Whiter Shade of Pale è ispirata all’Aria sulla quarta corda di J.S.Bach – si rimettono in gioco con un disco che seppure non abbia nulla di trascendentale, certamente possiede tratti molto gradevoli.

 

 

Luigi Ciavarella