di Nicola M. Spagnoli

Roma, mercoledì 13 giugno 2018 -  Tom Rapp  certamente e' stato ed e' un tipo particolare, dal 1966 precorre i tempi e poi si rilassa, poi ancora fa dei capolavori e poi sparisce per un po’ ma rimane sempre e comunque un poeta, giusto allievo di Dylan e di Cohen (e qui troviamo una versione, anche se non esaltante, di Susanne) ma anche di Wendy Carlos (già Walter Carlos!) per la ricerca naturalistica e al cotempo rumoristica, insomma un poeta ed un musicista degno di questo nome nonostante sia, da avvocato quale è, un noto e sincero paladino dei diritti civili.

 Balaklava e' il secondo album dei tempi in cui si faceva chiamare ancora Pearls Before Swine, ovvero Perle ai porci, dal celebre detto latino Margaritas ante porcos per dire che vale proprio la pena, a volte,  di sprecare cose di valore per gente che non le comprende o non le apprezza o che magari ti si rivolta pure contro, alla stregua di, come  recita giustamente il Vangelo secondo Matteo, cani inselvatichiti. Un disco ancora attuale, potremmo dire, per le musiche, equilibrate e pregne di suoni naturali pre-new age, che apparentemente sembrano folk-psichedeliche ma che invece hanno una loro particolare, onirica, caratteristica di misticismo ecologico. Balaklava, non dimentichiamolo, e' una famosa e sanguinosa battaglia della guerra di Crimea, celebre anche per la disastrosa carica dei 600, avvenuta in un posto chiamato, tradotto in italiano, valle della morte.

Gi arrangiamenti di questo disco certo hanno fatto la loro parte e contribuito non poco a quella atmosfera sognante e malinconica che e' rimasta nella memoria di molti con strumentazioni inusuali per l'epoca, come l'oboe, l'arpa, la celeste, i corni inglesi oltre alle chitarre acustiche, ai sitar, a flauti, violini e vibrafoni ma sempre tutti inseriti con cautela, a volte in un sottofondo lontano come le funeree cornamuse nel brano Ringh Thing. E cosi' arriviamo alla copertina (foto 1) che questo concetto esprime appieno trattandosi di una parte del  Il Trionfo della morte datato 1561 del grande Pieter Bruegel il vecchio, copertina utilizzata anche anni dopo dal primo Greatest hits dei Black Sabbath con in più in quel caso, evidenziato sul retro, il raccapricciante particolare della decapitazione. Rapp  già nel bell'album dell'esordio, One Nation Underground, dell'anno precedente, aveva usato come immagine un particolare (foto 2) infernale dal trittico del Giardino delle Delizie (fig 3), celebre capolavoro di Hieronymus Bosch, altro grande rappresentante del Rinascimento europeo.

Non di meno nei dischi successivi, evidenzia ancor di piu' la vena mistica tanto da usare, in quello immediatamente seguente del 1969, These Things Too, una non famosissima tavola quattrocentesca, il Cristo Benedicente, del nostro Giovanni Bellini (fig. 4) e poi, nel 1970, un arazzo medievale per The use of ashes del '70 fino a sfociare nella languida e romantica immagine dell’Ophelia galleggiante nello stagno (foto 5) del vittoriano John Everett Millais per ….Beatiful lies you could  live in del '71, usata anche, poco dopo nel 1972, dai nostri Francesco De Gregori e Antonello Venditti per il loro album d’esordio Teorius campus.

Poi, negli anni successivi, il nostro Rapp si calma un po' allontanandosi da immagini classiche per le copertine dei suoi lavori e privilegiando immagini piu' standard, più accessibili ai più. In questa rassegna infine non potevamo non ricordare un disco di quasi ugual genere recente, l'esordio eclatante dei Fleet Foxes che, guada caso, nella copertina usano, anche loro, un dipinto di Bruegel il vecchio, anche se meno trucido di quelli di Rapp. Episodi contemporanei e dissacratori con lo stesso titolo dell'originario gruppo di Rapp ovvero il Perle ai Porci  del sottoscritto (foto 6) poi non mancano nell'arte così come in una celebre serie di fumetti.

 

                                                                                          Nicola Maria Spagnoli

                       

Foto1

 

foto 2

 

foto 3

 

foto4

 

foto 5

 

foto 6