a cura di  Nicola M. Spagnol

Roma, lunedì 17 settembre 2018 -  Questa è certamente la copertina del celebre trio più famosa, la più riuscita, la più elaborata, in sintesi la copertina più importante ed anche la più inquietante per quello che è stato considerato l’apice degli Emerson Lake & Palmer, il loro quinto lavoro ed il disco della maturità, certamente il loro capolavoro sia per il pubblico che per la critica anche se da noi avevano fatto più effetto la Lucky Man del primo disco e la suite Tarkus dal secondo omonimo disco.

 Il loro terzo disco, Trilogy, aveva un pò deluso ma aveva ribadito e stigmatizzato che i nostri non erano tanto un gruppo amalgamato, alla Genesis o alla Yes per intenderci, ma erano soprattutto tre grandi solisti tant’è che molti da allora li esclusero addirittura dal genere progressive cercando di inserirli chi nell’avanguardia chi nella classica chi nell’hard rock anche se essi continuarono per un bel pezzo comunque a mietere successi stratosferici  fra il pubblico di tutto il mondo.  Nel ‘72 i nostri, ai tempi delle registrazioni in parte già fatte per questo loro quarto disco, si trovavano in Svizzera per un tour e, caso volle, si imbatterono in un personaggio strano, un artista esoterico e bizzarro anche nell’aspetto, Hans Ruedi Giger, con i due nomi in genere a sole iniziali puntate H.R.Giger, che li ammirava e volle conoscerli da vicino, li invitò poi a vedere il suo castello/laboratorio, da lui stesso  creato, a Gruyères, vicino Zurigo e che ancor oggi attrae masse di turisti, il Giger Museum.

E fu li che i tre musicisti rimasero affascinati e trovando delle analogie fra la loro musica virtuosistica e a volte cibernetica e dissonante con l’arte fantastica dello svizzero, subito gli ordinarono la copertina del quarto LP in preparazion e lui creò per l’occasione anche il logo ELP stilizzato che poi divenne ufficiale anche per il nome del gruppo di lì in avanti. Due pannelli a guisa di porte con un teschio al centro (foto 1)  che si aprivano per mostrare un nobile volto di donna orientaleggiante (etìope?) ad occhi chiusi (foto 2) , un fallo teso verso il mento, che poi divenne una caratteristica delle illustrazioni cyberpunk erotiche del nostro come in questa copertina, anni 80, per il terzo  Dead Kennedys. Ma l’enorme fallo di Brian Salad Surgery fu subito censurato anche se  l’argomento fu una delle sue caratteristiche fino alla fine della sua vita che avvenne del 2014.

Creature in cui Giger mischia la carne con elementi decorativi surrealistici e meccanici, volti solo parzialmente umani sia nelle scenografie, e ne fece molte, che nei disegni, volti, sempre di donne regali e solenni ma tristi quasi consci testimoni di un prossimo, infernale e tecnologico, futuro. Il successo internazionale arrivò per Giger nel 1979 quando Ridley Scott lo chiamò per disegnare il suo mostro xenoformo, Alien (foto 3), poi elaborato da Carlo Rambaldi e che fruttò ad entrambi, l’anno successivo, un Oscar  per i migliori effetti speciali.

Nel cinema Giger aveva iniziato già prima di incontrare i tre musicisti quando Jodorowsky stava preparando il suo, poi irrealizzato, Dune che vedrà poi la luce successivamente sotto la regia di David Lynch ed anche nel rock non si risparmiò lavorando per i Korn e per la bella copertina bio-umanoide di Debbie Harry (foto 4)  nonché per una lunga serie di lavori horror per le più svariate band prog, metal e space rock come i tedeschi Walpurgis (foto 10) o come i misteriosissimi francesi, a sentir loro calati dal pianeta Kobaja, i Magma di Cristian Vander (foto 5) nella loro opera meno riuscita musicalmente, Attack (anche come copertina …alquanto buffa o boteriana!). Giger fu anche antesignano del noto anticristo americano con i Celtic Frost che con quel titolo (To Mega Therion) ispirarono la nota, omonima, band svedese e, passando poi dall’acrilico e aerografo all’olio, un novello Dalì misto Bacon, realizzò  la copertina, negli anni ’90, dei gothic-metal Atrocity (foto 6).

Tornando al disco che stiamo trattando, la musica non è da meno, dicevamo, con un pezzo forte, Karn Evil 9, una suite di mezz’ora circa divisa in quattro capitoli, questa  sì che possiamo considerarla una delle icone del prog!, con un tradizional come Jerusalem in ottimo spolvero uscito anche a 45 giri con non poche polemiche. Per il resto c’è  un pezzo divertente Benny the Boucer, il solito pezzo da saloon di Emerson , tanto per sdrammatizzare, e Toccata dove anche Palmer può scatenarsi alla batteria. Infine un contentino romantico anche per Greg Lake con StillYou turn me on. La copertina originale, con il manifesto interno con i tre visi dei musicisti che potevano essere inseriti nel vuoto del front cover al posto del volto femminile, è abbastanza rara e quindi molto ricercata.

 

                                                                          Nicola Maria Spagnoli

 

 

(Foto 1)

 

(Foto 2)

 

(Foto 3)

 

(Foto 4)

 

(Foto 5)

 

(Foto 6)