a cura di Nicola M. Spagnoli                 

Roma, lunedì 24 febbraio 2020 -  Don Backy è uno di quei cantautori ingiustamente, non dico, dimenticato ma almeno non sufficientemente valorizzato come si doveva pur avendo avuto una produzione vastissima in più campi, non solo in quello della canzone. Renzo Arbore a tal proposito scrisse e dichiarò che le sue melodie sono arie tipicamente italiane, accordi tratti dai nostri vecchi canti folkloristici uniti ad una genuina vena poetica e aggiungerei che la stessa cosa fu fatta da Lucio Dalla e da Francesco DeGregori ma con ben altro riscontro.

A sessant’anni dall’esordio discografico (1960) era doveroso dedicargli quindi questa rubrica ricordando non i successi popolari che pure furono tanti (il mio preferito: L’amore del 1964) ma un lavoro di nicchia, sottovalutato e forse non capito ai tempi, un album molto impegnativo musicalmente e graficamente realizzato nel 1968 nel pieno della sua variegata carriera di cantante, autore, attore, artista e romanziere. Un’opera ambiziosa fin dal nome che lo vide impegnato per un intero anno in coda al grande successo sanremese dell’anno precedente, L’immensità, una evergreen della canzone italiana, senza dimenticare, nello stesso anno, Casa Bianca anche se accreditata allora ad altro autore o la sua partecipazione al festival di Napoli o alla pubblicazione del suo primo romanzo Io che miro il mondo.

In quel periodo era addirittura impegnato come attore protagonista nel film Satirycon (non quello di Fellini ma quello del meno celebre Gian Luigi Polidoro) tant’è che una sua bella foto dal film troneggia al centro, assieme a tante altre, del retro copertina interno di questo album che più album non si può essendo stato concepito con ben dodici pagine in carta lucida e pesante, proprio come un libro d’arte, con i quadri a tutta pagina appositamente realizzati per l’occasione dall’artista Mario Moletti che aveva iniziato la sua carriera da grafico, illustratore e fotografo per l’editoria musicale e poi lavorato  con Celentano (suo è il marchio del Clan di cui, com’è noto, Don Backy, pseudonimo di Aldo Caponi, era la seconda colonna portante).

Moletti ebbe il suo momento clou, a parte le numerose copertine e mostre di pittura, con la realizzazione del manifesto per la cinquantunesima Biennale del Cinema di Venezia ma in queste tavole dedicate, come i titoli delle canzoni, ognuna ad un mese dell’anno, realizza piccoli capolavori con colori esuberanti e variegati che ben documentano il mese raffigurato e che vanno dal figurativo all’astrazione, a partire dalla copertina (foto 1), certamente ispirati allo stile del grande simbolista francese Odilon Redon, in un album- concept inusuale sia per l’epoca che in generale per il nostro Paese, insomma un apripista e a tal proposito ricordar diamo, come esempio, La Pulce d’Acqua di Branduardi, stessa concezione grafica, ma di tanti anni dopo.

In questo disco sono da sottolineare i ricercati arrangiamenti di Detto Mariano a partire dal brano dedicato a  Gennaio (foto 2) con palesi riferimenti alla musica classica pseudo-vivaldiana soprattutto nella bella Aprile (foto 3) con la delicata silhouette femminile che la rappresenta e in Maggio fino ad arrivare a mini suite pre-progressive come  nel finale di Giugno. C’è anche un pò di avanguardia come nell’assolo chitarristico di Luglio, un brano quasi al rallentatore dalla vaga atmosfera circense, trombe mariachi della tradizione messicana in Agosto, fino ad arrivare al coro di bambini, che precede financo il Faber di Girotondo, in apertura alla marcetta militare di Settembre in cui campeggia  il ritratto sorridente del cantante (foto 4) e al recitativo con base di violino strappacuore di Ottobre.

Novembre, l’immagine più astratta di Moletti (foto 5), non può non ricordare musicalmente la Night in White Satin dei Moody Blues, forse il primo brano prog della storia, come del resto è prog l’incedere sinfonico finale in Dicembre.  Un lavoro insomma sottovalutato ai tempi ma che contiene, come disse lo scrittore Alberto Bevilacqua “la finezza degli umili cantori delle antiche corti, delle romanze, degli erratici”. Anche Don Backy, come dicevamo, ha coltivato con successo l’arte grafica specialmente quella del fumetto realizzando l’interessante L’Inferno (foto 6) nell’80 e la storia del Clan Celentano nell’84 (Clanyricon) dopo la sua dipartita agitata dal Clan, senza dimenticare le sue iniziative come la fondazione di una casa discografica o i suoi gruppi fra cui i Fuggiaschi e naturalmente le sue interpretazioni teatrali e cinematografiche, nonchè colonne sonore, per i film, fra gli altri, Quarta Parete di Bolzoni e per il notevole Barbagia di Carlo Lizzani con cui aveva fatto, nel suo anno più fortunato anno ossia il 1967, anche Banditi a Milano.

 

                                                                                               a cura di   Nicola Maria Spagnoli

 

 

Foto 1

 

 

Foto 2

 

Foto 3

 

Foto 4

 

Foto 5

 

Foto 6