a cura di  Nicola M. Spagnoli

Roma, mercoledì 13 aprile 2022 - Dopo le solite foto sulle copertine di gruppi o di singoli artisti dalla nascita del vinile fino agli inizi degli anni ‘60, a lungo andare ovvie e scontate, qualche graphic designer sulla scia del’arte di Andy Warhol, incominciò a farne qualcuna diversa, per esempio a moltiplicare le immagini ed appunto la prima copertina dei Beatles, nel loro terzo album, fu realizzata in questo modo, diciamo, innovativo.

A Hard Days Night (foto 1), in Italia uscito con il titolo di Tutti Per Uno in concomitanza con l’uscita del film omonimo, il primo lavoro con tutti brani originali del duo Lennon/McCartney, è attribuito a Robert Freeman che poi curo anche ben altri cinque lavori del gruppo ma leggenda metropolitana racconta che gli scatti dei musicisti derivino direttamente dalla Factory di Warhol, studio frequentato all’epoca anche dal nostro quartetto, fra gli altri.

E appunto dell’artista icona della Pop Art che troviamo una copertina fantastica per i tempi, la prima, credo, traforata su ogni immagine (con tanto di pubblicità targata Kodak!) come le diffusissime diapositive che allora andavano per la maggiore più delle foto stampate. In pratica una copertina apribile con 25 quadratini vuoti ma con in evidenza il noto marchio fotografico  ma con all’interno altrettanti scatti del volto di Cale. The Academy in Peril (foto 2 e 3), una curiosa fusion abbastanza riuscita fra musica pop e classica in maniera però diversa da Procol Harum e soci, più cerebrale e sofisticata e tale potevamo aspettarci da un Velvet Undergraund che solo l’anno precedente aveva collaborato con, addirittura, Terry Riley, il principe del minimalismo musicale, in Church of Anthrax (foto 4) un capolavoro sperimentale dalla copertina Doll’s House, disco in seguito contestato nei risultati dallo stesso Riley per gli arrangiamenti di Cale giudicati troppo debordanti rispetto alla sua musica ma che molto impressionò il rock sperimentale di allora.

Nello stesso anno di Academy troviamo la copertina si Exile on Main Street (foto 5), il capolavoro lisergico dei Rolling Stones e uno dei loro migliori album. Una cover decisamente rollingstoniana, confusionaria e apparentemente arrangiaticcia con un collage disordinato di foto di varia natura. Si va da foto personali, riprese dai fotografi Norman Seeff  e Robert Frank, a foto circensi e di mostri come quella di un nero con tre palline nella bocca enorme, un contorsionista, un uomo vestito da selvaggio africano e via dicendo, foto utilizzate anche nella copertina interna, il tutto assemblato dal designer John van Hamerseld in stile Warhol.

Ancora gli Stones nel 1978, e siamo al loro 14° album, ci meravigliarono, non certo per il contenuto certamente non paragonabile a quanto sopra, per la loro ennesima copertina shocking, quella di Some Girls (foto 6) un elaborato design fustellato come quella di John Cale ma non apribile ideata e disegnata da Peter Corriston, il creatore anche delle successive tre copertine degli Stones e addirittura premiato con Grammy per Tattoo You. Divertenti immagini dei musicisti con parrucche e trucchi femminili accanto a celebri dive del passato che emergono dalla busta interna double face (foto 7 e 8) con cornici colorate in maniera diversa a seconda del Paese di uscita del disco. Famose anche le battaglie legali degli eredi delle varie Lucille Ball, Judy Garland, Marylin Monroe etc. (foto 9) per l’uso improprio delle immagini e di conseguenza multe, risarcimenti e poi le ristampe del disco senza i volti di dive, insomma un esempio plateale e poi ampiamente riproposto da altri, di  copertine fatte e rifatte per la gioia di collezionisti e speculatori.

Ma torniamo ai Beatles ma non proprio a loro di specifico ma al creatore della loro copertina più famosa, quella di Sgt. Peppers, ovvero al campione popArt inglese Peter Blake che si dedicò anche al terzo gruppo più famoso dei sessanta ovvero agli Who con due belle copertine multi-pictures. La prima fu Face Dances del 1981 (foto 10) in cui assemblò, ma non erano opere sue eccetto una, le sedici immagini dei volti dei musicisti elaborati da altri otto autori, quadri veri e propri in diverso stile dal figurativo all’informale puro comunque tutti molto in linea con il contemporaneo. La seconda copertina  di Blake per The Who è abbastanza recente, per il disco titolato semplicemente Who (foto 11) anzi è proprio il loro ultimo disco che risale al 2019, Titolo senza fantasia e anche con una copertina adeguata ovvero senza particolare fantasia con una serie di immagini colorate e non ma abbastanza ovvie senza collegamento fra di loro o particolare significato, si va da foto di Mohamed Ali a Chuck Berry e Warhol a foto decisamente, e banalmente, pop, comunque fuori tempo massimo, per una copertina in fin dei conti simpatica e gradevole.

C’è da dire che Blake stavolta ha imitato se stesso infatti molte sono le somiglianze, nell’impostazione e nella scelta delle immagini con una sua copertina precedente di quasi un quarto di secolo prima, mi riferisco a quella di Paul Weller solista, ex Pearl J. ed ex Style Council, ovvero Stanley road (foto 12) datata 1995. Devo dire, rimanendo in ambito pop art o giù di li, che ancora più sofisticata appare No Code (foto 13) dei Pearl Jam fatta con una trentina di scatti polaroid del bassista del gruppo Jeff Ament, che è anche uno dei due fratelli della premiata ditta Ames Bros, quella famosa soprattutto per la miriade di poster creati per il gruppo in questione ma soprattutto ma soprattutto Backspacer (foto 14) del 2009, il loro nono album in studio con copertina veramente riuscita frutto della mano di Tom Tomorrow e dei suggerimenti del bassista del solito Ament. Una delle immagini, quella in alto a sinistra, rappresenta appunto uno degli incubi infantili ricorrenti di Ament, mentre il manichino umano aperto fa riferimento ad una installazione cruenta di Damien Hirsh e l’ immagine del mago ai veri poster, manipolati, di un mago americano dell’800.

Le altre immagini, sempre oniriche, derivano anche esse da sogni dei membri del gruppo che Tom ha elaborato per la composizione. Nella dissertazione su questo tipo di copertine infine non poteva mancare Physical Graffiti di zeppeliniana memoria, un disco, seppur doppio, passato alla storia per due pietre miliari, Kashmir e In  the Light, e naturalmente per la copertina fustellata. Quando ero a N.Y. non ho potuto fare a meno di andare a vedere il palazzo fotografato nell’East Village, 8th street divenuto meta di pellegrinaggio per i fan. Questa quasi anonima palazzina, fotografata di giorno sul fronte (foto 15) e di sera sul retrocopertina (foto 16) reca sul davanti il nome del gruppo tipo bassorilievo e permette di vedere nelle finestre o tendine o foto dei nostri eroi e altre amenità (foto 17) tramite la busta interna o, girandola (foto 18), altre immagini (ben 68!) fra cui  quella del Papa Leone XIII, di un Leonardo, di Oswald,della Madonna etc. In pratica si poteva cambiare copertina a piacere, tutto ciò per merito di Corriston e di Mike Doud successivamente immortalato anche per la copertina del milionario Breakfast in America dei Supertramp. Certamente ce ne sono altre di copertine multimmagini come ad esempio l’ottimo Lizard dei King Crimson ma qui ci siamo limitati a trattare solo le più iconiche composte soprattutto da fotografie.  

                                                                               Nicola Maria Spagnoli

 

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